MANUELA PLASTINA
MANUELA PLASTINA
Cronaca

La nostra relazione con gli animali: cosa insegna il metalupo

La psicologa e filosofa Francesca Mugnai: “Clonare la vita per non accettare il lutto. Umanizzare l’animale e portarlo ovunque. È davvero giusto per loro e per noi?”

Il "Metalupo" di Game of Thrones

Il "Metalupo" di Game of Thrones

Firenze, 10 aprile 2025 – La notizia del presunto "metalupo", un lupo ibrido apparentemente "riportato in vita" grazie alla clonazione, sta scatenando dibattiti accesi e interrogativi etici profondi. Ma anche riflessioni che, al di là dei reali o meno risultati di scienza e tecnologia, investono la nostra quotidianità e la nostra relazione con gli animali domestici, come sottolinea la dottoressa Francesca Mugnai, fiorentina, psicologa e filosofa esperta in relazioni tra esseri umani e animali. Dottoressa, partiamo dal cosiddetto ‘metalupo’: cosa può significare questo tentativo di far rivivere un animale?

“Il simbolo di un desiderio umano potentissimo: quello di vincere la morte. L’idea di poter “bypassare” il limite naturale dell'esistenza per riportare alla un essere tanto amato è affascinante, ma anche pericoloso. Svela il nostro bisogno emotivo di colmare un vuoto, di non accettare il distacco”. Ma se il Dna è lo stesso, non è lo stesso animale?

“Anche se il Dna fosse identico, nessuna relazione è mai la stessa. Ogni essere vivente, ogni legame che costruiamo, è unico, irripetibile. Clonare non significa ricreare l’identità né tantomeno la relazione affettiva. Ci sono troppi fattori imprevedibili che modellano chi siamo: l’ambiente, le esperienze, l’interazione quotidiana, le differenze che ci caratterizzano nell'interazione con gli altri esseri viventi. Pensare che un clone possa essere “l’originale” è un’illusione”. Stiamo considerando gli animali come oggetti replicabili?

“È un rischio concreto. Stiamo trasformando gli animali da compagni di vita, con una loro identità e diritti diversi dai nostri, in proiezioni di noi stessi. In oggetti da riprodurre a piacimento, secondo i nostri desideri. È una forma di possesso nascosta sotto un velo di amore”. Questa visione si estende anche al nostro modo di vivere con gli animali domestici?

“Sì, se allarghiamo lo sguardo, vediamo l’abitudine di portare cani e gatti ovunque: al supermercato, in spiaggia sotto il sole cocente, fin dentro gli ospedali e nelle fabbriche per essere oggetti passivi di coccole. Lo facciamo per amore, certo, ma ci siamo davvero chiesti se per loro è un bene? Se si sentono a proprio agio o se invece subiscono stimoli, rumori e ambienti che non fanno parte del loro benessere naturale?” C’è quindi un rischio di “umanizzazione eccessiva” degli animali?

“Più che un rischio, è in molte persone già una realtà. L’animale spesso diventa un’estensione del nostro io: lo trattiamo come un bambino, lo inseriamo nei nostri ritmi frenetici. Ma così rischiamo di smarrire il rispetto della sua diversità. È proprio questa alterità – il fatto che l’animale non sia una persona – a renderlo speciale, a permetterci di costruire un legame profondo, autentico”. Il caso mediatico del “metalupo” su cosa ci deve far riflettere, dunque?

“Sul rischio di perdere il senso del limite e del rispetto. La clonazione come sogno tecnologico e l’umanizzazione come forma di controllo emotivo ci allontanano dal vero significato della relazione con l’altro, che sia umano o animale. È solo accettando la fine, la distanza, la differenza, che possiamo vivere legami veri. E, paradossalmente, proprio nel lasciar andare c’è forse la forma più alta di amore”.