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Simonetta Brandolini d’Adda, fondatrice dei Friends of Florence
"Sono veramente sorpresa e dispiaciuta. Il consolato è sempre stato non solo di aiuto alla comunità americana, ma anche molto vicino ai fiorentini". Madre italiana, padre americano militare della Nato, Simonetta Brandolini d’Adda è nata in Georgia e cresciuta a Washington, per poi studiare a Boston. Negli anni Settanta sbarca a Firenze, studia storia dell’arte, si innamora, si sposa e diventa sia italiana che americana. E’ lei che 25 anni fa fonda i Friends of Florence, portando dagli Usa donatori disposti a spendere milioni di dollari nel restauro dei monumenti della città.
Presidente Brandolini d’Adda, che rapporti ha avuto col consolato americano di Firenze, che ora potrebbe chiudere dopo due secoli di presenza?
"In tutti questi anni ci sono sempre stati ottimi rapporti con i tanti consoli generali che si sono alternati. Specialmente con i Friends of Florence i legami erano molto forti. Chiaramente il consolato è un punto di riferimento determinante per gli americani, ma anche un faro di democrazia statunitense in una città importantissima della civiltà occidentale come la nostra. Penso poi alle moltissime università americane presenti a Firenze, per non parlare dei tanti gruppi industriali che sono sempre stati una grande ricchezza per il territorio".
Cosa intende con faro di democrazia statunitense?
"Mi riferisco ai rapporti del consolato con le tante associazioni per i diritti umani, quali la Robert F. Kennedy Human Rights Italia. E comunque è sempre stato il luogo dove riunire le tante realtà, quali la nostra Friends of Florence, che creano ponti fra l’America e l’Italia, per lavorare tutti insieme. Ma al di là di questo, credo che il consolato fosse utile per la stessa immagine degli Stati Uniti, per dimostrare quante cose buone potevano fare gli americani fuori dal loro Paese".
Secondo lei, in caso di effettiva chiusura, ci potrebbero essere conseguenze anche per i donatori della sua associazione nei confronti di Firenze?
"Spero di no. Siamo una fondazione americana presente qui da più di 25 anni, con risultati evidenti in città e nel resto della Toscana, con oltre 400 progetti finanziati per diverse decine di milioni di euro. Mi auguro che i donatori americani continuino ad amare il patrimonio artistico italiano, confermando la loro generosità".
Ricordando il legame Firenze-Stati Uniti, cosa le viene in mente per prima cosa?
"Il cimitero americano dei Falciani, con tutti quei soldati morti qua in nome della libertà. Poi viene tutto il resto".
Lei cosa pensa di questo periodo con l’America che si pone in questa inedita posizione politica nel mondo?
"La mia associazione no profit, che ha sede a Washington e che è amministrata da mia sorella, non prevede che si parli di politica e quindi non vorrei esprimermi. Riguardo al consolato americano di Lungarno Vespucci mi auguro che ci siano dei ripensamenti e che non chiuda. Sarebbe una cosa buona per tutti, americani e fiorentini. I Friends of Florence continueranno a fare tutto quello che hanno sempre fatto, nel comune amore verso l’arte e la cultura della cività occidentale".