
di Manuela Plastina
La storia legata a Villa La Selva è uno dei capitoli più bui di Bagno a Ripoli. L’edificio neoclassico, a tre chilometri dal centro del paese e a pochi più da Firenze, era di proprietà dell’ebreo Silvio Ottolenghi. Nel 1938 la villa fu requisita con le sue 40 stanze e circa 225 posti letto. Nel 1940 divenne un campo di internamento. Vi passarono tanti gruppi di ebrei e stranieri antifascisti con una presenza media di ‘ospiti’ tra le 100 e le 200 persone in contemporanea. Nonostante avesse impianto idrico, elettrico, telefono e alcune docce, a causa del cattivo funzionamento del riscaldamento e della presenza di un solo bagno, ci furono numerose epidemie. Dopo il 30 novembre 1943 la situazione precipitò: con la Repubblica Sociale Italiana, la struttura fu utilizzata per rinchiudervi gli ebrei in attesa di deportazione. Nel gennaio del 1944 vi transitò un gruppo di abruzzesi, portati dopo pochi giorni al campo di Fossoli e infine ad Auschwitz. Fu liberata dai partigiani nel maggio del 1944 e chiusa ufficialmente il 9 luglio del 1944. Non si sa però molto di più delle condizioni di Villa La Selva in quel periodo buio.
Ora due ricercatrici dell’Università di Firenze sono pronte a entrare nel dettaglio di quegli anni: dal 2020 infatti stanno portando avanti una ricerca promossa dal consiglio comunale di Bagno a Ripoli e dall’associazione Do not forget onlus – Per non dimenticare e finanziata tra gli altri dalla Regione. La coordinatrice della ricerca, la professoressa Valeria Galimi, insieme alla conduttrice del lavoro, la professoressa Chiara di Renzo, domani alle 16,30 in biblioteca comunale illustreranno il sistema di internamento e di reclusione in Toscana tra il 1940 e il 1944 e in particolare appunto la vita degli internati nel campo di Bagno a Ripoli. Partecipano l’assessore alla cultura Eleonora Francois, Ugo Caffaz della comunità ebraica di Firenze e il presidente di Do not forget onlus Giovanni Cipani.