Mario
Lombardi
Adozione, il sentirsi diversi Siamo arrivati al quinto articolo, dopo aver svoltato con "la scoperta", per chi si trova a leggerlo per la prima volta, ricordo che parlando di adozione dal punto di vista di chi l’ha vissuta e la vive, scoprire la propria condizione, causa necessariamente effetti collaterali non trascurabili. Come sempre partiamo dall’etimologia della parola diverso, dal latino "diversus", participio passato di divertere "deviare". Ecco la parola chiave, deviare, cioè modificare, uscire dalla via maestra. L’uomo è un animale sociale come scrisse Aristotele (IV secolo A.C.) nella sua "Politica": il sentirsi differente rispetto al branco, se questa condizione non è cercata, può destabilizzare, soprattutto se questa nuova consapevolezza, avviene in età infantile. La moderna pedagogia è incline a raccontare fin da subito la verità al bambino adottato, proprio per evitare che la notizia arrivi da altre persone (vedi l’articolo precedente), comunicandogli principalmente che non è stato abbandonato ma che i genitori biologici non avevano le possibilità per tenerlo, insomma anche mentendo, proprio per permettere al piccolo di costruire nel presente e nel futuro dei buoni rapporti affettivi. Nel mio caso non è andata proprio così, la moderna pedagogia era ancora sconosciuta, averlo saputo appunto da terze persone, non aver ricevuto un’assistenza verbale appropriata, mi ha causato sensazioni forti come la scoperta della sessualità, delle malattie e della morte. Cercando di ricordare quelle orribili emozioni, il problema più grosso non fu quello di essere stato abbandonato ma di sentirsi appunto differente dagli altri bambini. Da adulto la sensazione di sentirsi diverso può essere inebriante ma da piccoli, nel branco, no, è destabilizzante!
*docente