
Venditori abusivi nel centro di Firenze, in un’immagine tratta dal nostro archivio
di Stefano BrogioniFIRENZEDa 25 anni è in Italia, oggi ha un lavoro stabile e una famiglia. Ma per due vecchi conti con la giustizia che risalivano ai tempi in cui s’arrangiava vendendo abusivamente stampe nel centro di Firenze, non gli veniva riconosciuta dal Ministero dell’Interno la cittadinanza italiana.Gliel’ha però consegnata il Consiglio di Stato, che, con una sentenza emessa il 7 marzo, ha accolto il suo ricorso - scritto dall’avvocato Anna Lisi - e “corretto“ la decisione del Tar, che aveva espresso l’ennesimo diniego basato proprio su quei precedenti, oggi sorpassati da una piena integrazione.
E’ la favola a lieto fine che ha per protagonista un immigrato senegalese. Nei primi anni Duemila, come tanti connazionali, era uno dei vu cumprà che affollavano il centro e che l’amministrazione comunale di allora cercava di fermare con retate della polizia municipale. Durante una di queste operazioni, lo straniero, all’epoca irregolare, cercò di sfuggire alla presa. Venne denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e successivamente condannato, nel 2004. L’anno successivo, gli venne inflitta un’altra condanna per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: una contravvenzione da 100 euro per non essersi presentato alla questura per regolarizzare la sua posizione. Non si presentò perché temeva di essere espulso, come probabilmente sarebbe accaduto. Perché in quegli anni aveva trovato un lavoro "vero", che gli aveva consentito di versare i primi contributi e anche di iniziare una nuova vita. Dopo aver regolarizzato la sua posizione grazie al lavoro, nel 2014 fece richiesta per ottenere la cittadinanza italiana.
La legge prevede, secondo una precedente pronuncia del Consiglio di Stato, che l’ingresso nella comunità possa avvenire quanto lo straniero possieda "ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di stabile integrazione nella collettività nazionale, mediante un giudizio prognostico che escluda ogni sua possibile azione in contrasto con l’ordine e la sicurezza nazionale e che possa disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato".Ma per il Tar, quei due precedenti penali rappresentavano un ostacolo al suo ingresso nella comunità italiana. Non per il Consiglio di Stato, secondo il quale i giudici hanno emesso un "giudizio sommario, superficiale ed incompleto". Avevano sì pesato le incontestabili condanne ma, per i giudici di Roma, il tribunale toscano avevano omesso di contestualizzare quegli episodi "all’interno di una più ampia e bilanciata disamina che tenga conto dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa, del suo reale radicamento al territorio, della sua complessiva condotta".
Non dando peso alla "stabilità lavorativa e reddituale, consolidata ormai da un ventennio" e al "forte radicamento del proprio nucleo familiare, i cui componenti sono tutti titolari di permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo di durata illimitata", il Ministero, secondo il Consiglio di Stato, "è incorso in difetto istruttorio e motivazionale nell’apprezzamento della meritevolezza dell’istanza dello straniero per essersi trincerato dietro la sussistenza di precedenti penali di cui ha fatto valere con espressioni stereotipate la pregnanza sintomatica sul piano dell’incompiuta integrazione" quando invece "l’Amministrazione sarebbe stata tenuta a corredare il diniego di un’ampia motivazione in cui dar conto delle ragioni per le quali quei fatti penalmente rilevanti sì risalenti potevano ritenersi comunque ostativi al rilascio della cittadinanza, non essendo sufficiente una mera rilevazione acritica delle pendenze nella loro asettica storicità, senza alcun autonomo ed effettivo vaglio critico".