La bambina di Kabul è la sua storia. Ed è la storia di quel Paese che ha lasciato vent’anni fa ma che non ha mai dimenticato. Saliha Sultan, nata in Afghanistan nel 1988, vive in Italia col marito e i figli, qui ha il suo lavoro e qui ha trovato una possibilità di riscatto da un destino che appariva già segnato. Ospite questa sera del festival Pari e Dispari di Pistoia incarna perfettamente il tema della terza edizione, Donne di frontiera.
Come nasce l’idea di questo libro?
"Il libro è nata quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan. Prima scrivevo per alcune riviste e per un giornale in lingua afghana. Raccontavo delle donne in difficoltà, le storie dei bambini che dormivano per strada e un po’ riuscivo a dare voce a queste persone. Poi, quando hanno chiuso tutte le possibilità, ho sentito un senso di colpa, di responsabilità: io sono uscita, mi sono salvata, mentre tante persone continuano a vivere in difficoltà oggi".
Lei ha vissuto in prima persona sotto un regime?
"Sì, quello dei mujaheddin. E mio padre, un comandante delle forze alleate agli americani, è stato ucciso dai talebani. Provo molta rabbia, ma anche tristezza: quando ho visto le chiusure delle scuole per le ragazze, a marzo 2022, mi sono trovata in quelle immagini delle bambine che piangevano davanti all’ingresso, perché avevo già vissuto quella stessa situazione".
La condizione femminile è così drammatica come appare?
"Non solo non possonomuoversi o lavorare. Le donne non possono né parlare né recitare in pubblico, non possono ascoltare la musica. È durissima sapere queste cose e non poter fare niente".
C’è una donna che ha segnato la sua vita in modo particolare?
"Mia nonna, di cui parlo nel libro, perché è stata lei a raccontarmi le donne coraggiose dell’Afghanistan, come la principessa Soraya, riuscita a dare un volto pubblico alle afgane".
Secondo lei c’è speranza che qualcosa cambi?
"Dicono che la speranza è l’ultima a morire ed è vero, la speranza c’è sempre. Ma secondo me è necessario che tutti e tutte abbiano accesso all’istruzione. E poi serve l’aiuto dei Paesi occidentali, non si può combattere dall’interno, serve una forza diversa. Non vi dimenticate dell’Afghanistan".