di Gabriele Manfrin
Cinquemila lavoratori. Cinquemila persone in meno che si prenderanno cura delle nostre vigne e che quest’anno non vendemmieranno. La carenza di manodopera non sta risparmiando nemmeno uno dei petroli dell’economia toscana: il vino. A dipingere questo triste quadro è il presidente della federazione vino Confagricoltura Francesco Colpizzi. Una cifra alta, quella che manca all’appello anche in città, visto che siamo alle porte della vendemmia. Ma perchè una tradizione così radicata e e identitaria della nostra terra, che crea una delle eccellenze che ci rende grandi nel mondo, non riesce a trovare i lavoratori per essere portata avanti?
Secondo Colpizzi, i motivi sono diversi. E vanno dalle tasse troppo alte, alla fuga dei lavoratori all’estero, dalla perdita di interesse dei ragazzi agli iter burocratici per le assunzioni. Ma una cosa è certa, il problema non riguarda solo il periodo della raccolta. "È di tutto il settore in generale – spiega – mancano sia le figure specializzate che i profili comuni". Infatti produrre vino non vuol dire solo raccogliere l’uva. Potature, fermentazioni, analisi del terreno, sono fasi essenziali che richiedono personale competente. Ma secondo Colpizzi la manodopera preferisce andare all’estero.
"In Paesi come Croazia, Svizzera Ungheria o Germania - dice - esistono politiche fiscali per i redditi di fascia bassa più vantaggiose. Per loro è più conveniente andarci". Ma anche trovare solo ‘due braccia’ per vendemmiare sta diventando sempre più difficile. E quando si trovano, l’iter burocratico non è tra i più fluidi. Per pochi giorni di lavoro si deve mettere in conto il costo della formazione obbligatoria, l’idoneità alla mansione specifica, più le visite mediche necessarie.
A questo si deve sommare l’intero costo della busta paga. Insomma, sono lontani i tempi in cui si faceva a spallate per un posto in vigna. "Ormai la vendemmia la fanno quelli che lavorano nelle aziende tutto l’anno – dice Colpizzi – il ricorso delle imprese agli stagionali è veramente ridotto". La tradizione come la conoscevamo sembra scomparsa: "Da almeno 15 anni" aggiunge. "La società si evolve e le cose cambiano. Nelle vigne oggi si parla albanese o lingue degli stati africani. Abbiamo bisogno di personale straniero, è un dato di fatto. I vendemmiatori italiani saranno intorno al 10%".
Ma anche il sistema dei flussi, utile per reperire la manodopera estera, non sta dando i risultati attesi: "Spesso iniziano a lavorare nei vigneti dopo 3-4 mesi da quando li individuiamo, saltando un’intera stagione. La vendemmia richiede dei tempi precisi d’intervento. Il problema manodopera è serio" conclude. Le aziende dell’indotto chiedono una riduzione del cuneo fiscale oltre che un abbattimento della burocrazia. Da accompagnare con una rivoluzione culturale, che faccia riscoprire ai giovani la bellezza e l’importanza di questo settore.