Canè
Simona aveva paura che si fossero dimenticati del suo Luigi. Tranquilla: la giustizia italiana non ha la memoria corta, ha il passo lento. Molto. Anche per la strage di via Mariti, dove Luigi e altri 4 sono morti, i tempi dell’inchiesta sembrano eterni per chi cerca una risposta, delle responsabilità. A quasi un anno di distanza e dopo le necessarie perizie, sono partiti tre avvisi di garanzia. Un passettino. Un antipasto light. Alla vigilia del 16 febbraio, forse sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più. Su vari fronti. Se tutto si fosse fermato a quel giorno, infatti, già sarebbe una fitta al cuore. Ma uno sguardo all’oggi riesce ad aggiungere un pizzico di sconforto. Perché il cantiere è sotto sequestro e non si sa quanto ci resterà. Motivo possibile? Il solito: altri sopralluoghi, verifiche. Domanda: non bastano le foto scattate e i mille reperti prelevati in questi mesi? Speriamo. All’hotel Astor i sigilli hanno fatto la ruggine mentre si continuava a scrostare gli intonaci come se nascondessero Kata; e i 200 ettari di Fondiaria dal 2008 sono rimasti inutilmente bloccati per anni: dubitare della sveltezza è lecito. Poi, ciò che sta attorno: il quartiere, le strade chiuse, deviate, il degrado cresciuto ai margini di quelle macerie. La gente è esasperata, impaurita. Chiede normalità. Una pretesa minima che non collide né con il rispetto per i morti, né con la dinamica della giustizia. In molti vorrebbero che al posto dell’Esselunga nascesse un parco. Schmidt ha rilanciato l’idea a Palazzo Vecchio. È una buona idea, forse la migliore per ripartire: se quella costruzione riprendesse e fosse ultimata, porterebbe sempre con sé, dentro di sé, lutto e dolore. L’importante è che il dopo sia presto. La giustizia ha battuto un colpo. Adesso bisogna abbattere quei muri. Per liberare dal cemento chi ha perso vita in via Mariti. E chi ha il diritto di poterla vivere.