di Daniela Giovannetti
"No. Con mio padre di quegli anni non abbiamo mai parlato. Anzi. Per proteggerlo, quando in tv c’era un film di guerra, a casa cambiavamo canale perché, come accaduto anche ad altri sopravvissuti, viveva quasi un senso di colpa nei confronti di chi non c’èra più. Rispettavamo la sua scelta di portare questo dolore immenso chiuso dentro di sé. Deve aver sofferto tanto. Mia madre ci ha detto che la notte ha avuto incubi ricorrenti fino agli ultimi giorni". Comincia così il racconto di Luciana, 72 anni, sorella di Margherita e Carla, nonché figlia mediana e soprattutto memoria storica della famiglia del carabiniere Francesco Naclerio, che in quel tragico agosto del 1944 si era trovato per un caso fortuito al comando della stazione di Fiesole. Anche lui, per evitare una rappresaglia, si consegnò volontariamente ai tedeschi insieme ai tre compagni, Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti, Guido La Rocca, oggi noti come i Martiri di Fiesole e insigniti di medaglia d’oro. Loro furono fucilati. Lui sopravvisse. Ma del carabiniere Naclerio si è ben presto persa memoria e nessuno ha più parlato. Neppure lui, che un brutto male si è portato via a soli settanta anni nel 1980.
A parlare al suo posto ci sono però i verbali conservati all’archivio storico dell’Arma, che il professor Jonathan K. Nelson, storico dell’arte della Syracuse University ha ripreso in mano e studiato minuziosamente , riscoprendo così la storia dell’unico sopravvissuto dell’eccidio fiesolano. Una storia, rimasta nell’oblio, che il compositore Hershey Felder ha adesso adattato a opera lirica dal titolo “Il quarto uomo“. Il debutto in prima nazionale è martedì prossimo, 25 luglio, al Teatro Romano di Fiesole, ovvero nel luogo dove la vicenda si è realmente svolta. E’ proprio fra le rovine dei monumenti antichi che i militari fiesolani, che collaboravano con i partigiani, avevano trovato rifugio. Poi però, saputo che i tedeschi minacciavano di fucilare dieci civili, decisero di consegnarsi. Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti, Guido La Rocca furono prima torturati e poi fucilati. Francesco Naclerio fu invece rilasciato. "Forse perché era l’unico in divisa e i tedeschi - ipotizza Jonathan Nelson - avevano bisogno di un soldato italiano per svolgere mansioni di milizia ordinaria".
Alla serata inaugurale dello spettacolo sarà presente anche Luciana, con il marito e il figlio, anche lui maresciallo dei carabinieri. Come ha accolto la notizia dell’opera dedicata a suo padre? "Con immenso piacere. Non solo perché si ricorda la figura di mio padre, ma anche perché si parla della partecipazione dei carabinieri alla Resistenza; pagina di storia che a mio avviso è ancora tutta da scrivere. Purtroppo molti protagonisti oggi non ci sono più". Chi era suo padre? "Era nato nel 1910 e da pochi giorni era al comando della stazione di Fiesole. Forse proprio l’anzianità di grado e l’esperienza maturata in Jugoslavia gli hanno salvato la vita". Che cosa le hanno raccontato? "Ricordo dello sfogo e il pianto a dirotto di mio padre, quando dopo la vicenda ha incontrato sua mamma al rientro ad Agerola, vicino ad Amalfi. Era presente mia cugina, che sebbene bambina lo ha sentito ripetere "Dovevo morire anche io. Mi hanno messo al muro tre volte". Finalmente questa storia sarà ricordata come si deve. "Sì, e questo grazie a due stranieri. Ma noi familiari non vogliamo fare polemiche, né chiediamo medaglie. Siamo solo contenti che finalmente anche nostro padre sia ricordato come si deve".