EMANUELE BALDI
Cronaca

La Lambretta del figlio perduto. "Sua madre la metteva in moto per ricordarlo, lo farò anch’io"

Nel 1978 un giovane fiorentino si lanciò dal Ponte Vecchio. Per anni la mamma ha acceso il motorino a ogni anniversario della morte. Il nuovo proprietario: "Vorrei trovare la sua famiglia"

Tino Sacchi e la Lambretta

Tino Sacchi e la Lambretta

Firenze, 30 luglio 2023 – Si chiamava Fabrizio, il resto ormai non ha più grande importanza. Però aveva sedici anni appena, il verde più nitido e dolce della gioventù, quando un giorno mise in moto la sua Lambretta gialla, la parcheggiò vicino al Ponte Vecchio si affacciò sull’Arno e decise che per lui poteva anche bastare così.

Una tragedia lontana, impolverata dal tempo. Era il 1978 e Firenze era agli antipodi di questa strana città che è oggi, una bellissima signora arresa a tempi frenetici e balordi, griffata, anonima, plastificata. Allora no, allora era una città spiccia e nobile insieme, ruvida e popolare, densa, viva, sanguigna. Fabrizio si abbandonò al suo fiume e solo lui seppe il perché.

In questa storia c’è però una Lambretta appunto. Gialla, fantastica, icona di un’epoca. Quella motoretta è l’ancora che allaccia la tragedia di Fabrizio ai giorni nostri. Ora è a Paullo, un paesone del Milanese e d’altronde il suo nome viene da Lambro, un fiume lombardo. L’ha comprata, tramite un intermediario, Tino, un signore distinto con i capelli bianchi innamorato pazzo di questo modello scooter analogico, paradigma di un’Italia felice con la freccia verso l’alto, tanto da averne collezionati in vita sua una settantina.

Ma in questa storia c’è anche una mamma, la mamma di Fabrizio. E’ lei che cerca Tino, lei o qualche familiare del ragazzo che quarantacinque anni fa lasciò questo mondo. La cerca perché dietro quella Lambretta c’è una storia innocente e grandiosa. Prima di finire nelle officine di Tino, la Lambretta era in un corridoio. Quello della casa di Fabrizio. La mamma la teneva lì, come un gancio dell’anima, una sorta di cordone ombelicale meccanico che in qualche modo le faceva sentire vicino il figlio.

Ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte di Fabrizio, chiamava un meccanico di zona e la faceva accendere. Quel piccolo rombo di motore era una scheggia forte al cuore, ma anche un filo conduttore immaginario e immaginifico che la faceva sentire di nuovo vicina al ragazzo.

“Ho scoperto questa storia quando ho acquistato la Lambretta e mi ha colpito tantissimo – racconta Tino – è la storia di un amore infinito di una mamma per il figlio, ogni volta che vado in garage mi viene un nodo alla gola". Ecco. "E ora – e il pianto strozza la voce – voglio promettere alla famiglia di quel ragazzo che non venderò mai la Lambretta, che ogni volta che la metterò in moto penserò a lui, anche se non l’ho mai conosciuto". "Vorrei fare un appello, vorrei trovare quella mamma ma non so se sia ancora viva – dice ancora – E comunque vorrei mettermi in contatto con la famiglia di questo giovane per assicurargli che il suo ricordo è in buone mani".

Tino ha scelto di raccontarci questa storia perché ha sentito una scossa dentro, un legame improvviso, astratto, impalpabile ma autentico con quel ragazzo che oggi avrebbe più di sessant’anni, forse anche lui i capelli bianchi in testa.