
Stefano
Cecchi
Avrebbe compiuto 65 anni la settimana scorsa e, se l’inumanità della ‘ndrangheta non l’avesse massacrata, oggi sarebbe una psicologa fiorentina con figli e nipoti da accudire. Invece, per colpa di un amore giovanile sbagliato, di lei oggi non resta niente, nemmeno un corpo da piangere. Solo una foto presa dal suo libretto universitario di 45 anni fa. Che storia terribile quella di Rossella Casini, studentessa fiorentina uccisa 40 anni fa a Palmi, che, almeno nell’immaginario collettivo, resterà per sempre la ventenne della foto da matricola, gli occhiali da sole Persol alzati sulla fronte a tenere raccolti i lunghi capelli, la camicia a fiori anni ‘70 e quello sguardo che ne racconta il carattere d’acciaio, pulito, restio ai compromessi mafiosi e coraggioso del futuro.
Il carattere che la fece innamorare di uno studente universitario calabrese, Francesco Frisina, e di finire per questo divorata da una feroce faida di ‘ndrangheta a Palmi fra le due cosche contrapposte dei Gallico-Frisina e dei Condello-Porpiglia. Il suo omicidio – scrisse a suo tempo la corte di assise – è forse l’episodio più turpe di quella guerra di mafia. Una guerra nella quale Rossella ha pagato il prezzo più alto. Capelli castani e occhi azzurri, aveva 21 anni e studiava a Magistero quando conobbe il ragazzo che le avrebbe negato per sempre la vita. Francesco Frisina era anche lui studente universitario e dalla Calabria si era trasferito a Firenze per provare a laurearsi. Con alcuni amici meridionali era andato ad abitare in un appartamento di Borgo La Croce, proprio nello stesso condominio dove Rossella abitava con i genitori, Loredano, ex dipendente della Fiat in pensione e Clara, casalinga. L’amore a quell’età quando esplode è torrenziale e Rossella si innamorò di Francesco travolgendo tutto.
Non poteva sapere che il padre dell’amato, Domenico Frisina, era uno ndranghetista di rilievo appartenente alla ‘ndrina Gallico di Palmi, in quel tempo in guerra con la famiglia dei Parrello-Condello. Se ne accorse quando, nell’estate del 1979, in vacanza a Palmi col fidanzato, il futuro suocero venne ucciso da due killer del clan rivale. Un colpo terribile.
Certo, la logica direbbe che di fronte a tanto orrore la cosa migliore sarebbe stata lasciare Francesco e fuggire. Ma lo ricordate cos’è il cuore a 20 anni? Così lei restò accanto al suo ragazzo facendo ciò che fanno i cuori puri: ovvero provò ad allontanarlo da quel mondo di letame. E quando qualche mese dopo lo stesso Francesco venne ferito alla testa in un ennesimo agguato, lei lo fece trasferire a Careggi e qui, con l’aiuto di un giovane brigadiere di Polizia, riuscì a convincerlo a collaborare con la giustizia e raccontare tutti i dettagli sulla faida in corso a Palmi.
Non poteva sapere l’innocente Rossella, a cosa quell’incultura potesse portare. Lo capì dopo la retata che le forze dell’ordine fecero sulle rivelazioni di Francesco. Una bomba.
Mai nessuno aveva osato svelare i segreti della ’ndrangheta di Reggio Calabria. E questo era successo per colpa di "Rossella", la straniera che ora doveva essere punita. Il finale della storia è un libro dell’orrore umano. Francesco, per salvaguardare la famiglia, ritrattò tutto: "Ero fuori di testa – disse ai giudici – non sapevo cosa dicevo a quell’uomo che solo dopo ho saputo essere un poliziotto, è tutta colpa di Rossella". La studentessa allora perse la testa. Per provare a farsi perdonare lo sgarro accusò la famiglia rivale dei Frisina di ogni violenza. Non solo. Per convincere i parenti di Francesco della sua buona fede, scese personalmente a Palmi. Come se davvero una ragazzina di 20 anni potesse toccare il cuore da mostro degli ‘ndranghetisti. Così il 22 febbraio del 1981, Rossella chiamò al telefono babbo Loredano: "Qui a Palmi non ce la faccio più, torno a casa". Invece non tornò più. Prima la violentarono a turno, poi la fecero a pezzi gettando i poveri resti in mare con il consenso dello stesso Francesco: "Fate pure a pezzi la straniera, se l’è cercata", disse.
I suoi genitori, Loredano e Clara, prima ancora del processo che alla fine mandò prosciolti gli esecutori del massacro, si spensero lacerati dal dolore infinito di una figlia massacrata e poi gettata in mare come immondizia per un amore sbagliato.
Oggi, 40 anni dopo la mattanza, solo una lapide la ricorda davanti a quella che fu la sua casa fiorentina, in Borgo La Croce. E questi pezzi di giornale, che non possono mancare in rispetto di una donna-coraggio che sfidò la mafia da sola, combattendo l’omertà e il silenzio con l’unica arma che aveva, quella dell’amore, pagando alla fine con la sua stessa vita. Non ricordarla ogni volta che c’è l’occasione o dimenticarla sarebbe un delitto doppio.