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L’artista Transenne e abbandono "Era un rione vivo, me ne andrò via"

Il designer Luciano Manara dalla sua bottega spedisce opere in tutto il mondo e non vorrebbe lasciare Novoli "Un tempo c’erano parcheggi, passaggio, attività dei fiorentini. Il quartiere mi ha ispirato, ora è solo periferia"

Proprio in quel tratto finale di via di Novoli dove la strada si restringe per lasciare spazio alla fermata dei Palazzi rossi, c’è un marciapiede con dei lucernari disastrati che fanno filtrare qualche spira di sole nei garage.

E su quel marciapiede, l’uscio della bottega di uno di quegli artisti che tra un secolo i quartieri sgomiteranno per intitolargli una via: tale Luciano Manara che, con pungente ironia e geniale talento, ha creato ed esposto in mezzo mondo opere che denunciano mali e vezzi dei nostri tempi.

Tanto per dirne qualcuna, "La penna nella roccia" esposta in Sala Barile del Consiglio regionale, che rifacendosi al mito di San Galgano, smaschera una società dove tutti sono scrittori, ma rarissimi i lettori; e così, quella penna, potrà essere estratta solo dallo scrittore puro nel cuore.

O "La Pravda", in difesa della libertà di espressione, dei giornalisti minacciati nell’esercizio dell’informazione. O ancora "L’attesa", dove uno scheletro d’oro sul wc simboleggia l’attesa di una politica sana.

Quel medesimo Manara cui ora lo stesso Palazzo Vecchio dove ha ricevuto il Collare laurenziano nel 2015 e una targa nel 1998, i più alti riconoscimenti, fa orecchie da mercante. Una situazione kafkiana quella dei lucernari sconquassati davanti alla sua fucina di genialità, all’atelier che dovrebbe essere orgoglio del rione.

Beffa del destino, pare l’allegoria di quelle denunce di situazioni paradossali cui ci ha abituato. "Questi lucernari sono stati del condominio per trent’anni – spiega Manara – In caso di rottura, eravamo obbligati a sostituirli, e li sostituivamo. Poi con l’arrivo della tramvia hanno ristretto il marciapiede di mezzo metro ed espropriato il marciapiede. Da tre anni, viviamo con i lucernari rotti, da quando sono passati con l’escavatore. Dei passanti sono caduti. Il Comune ha posto transenne, cartelli e così è rimasto".

Gli si stringe il cuore nel vedere distesa di mattonelle di vetro traballanti e mancanti, sintomo di un abbandono della sua Novoli.

"Ho ereditato questa bottega da mio padre, commerciante di mobili: prima, dal ’64, in viale Guidoni; poi, dal ’72, qui in via di Novoli – prende a raccontare – Da commerciante, sono diventato designer e artista, da qui spedisco in tutto il mondo. Sono legato a Novoli. Ho amici che mi dicono di venire via, ma finora non me la sono sentita per il legame spirituale con mio padre, siamo nati qui. Tuttavia ci sto pensando seriamente, devo trovare il coraggio di farlo, non solo perché qui ormai mi è stretto. Prima c’era passaggio, c’era parcheggio, c’erano le attività dei fiorentini. Via di Novoli era brillantissima, in qualche modo mi ha ispirato. Ora è una periferia che tra qualche anno morirà. Il fiorentino sta perdendo la sua componente culturale, se perde la cultura perde la civiltà. Ma la politica vive il tempo del momento, l’arte ha il tempo dell’eterno".

La prossima opera? "Ancora non posso dire niente, ma sarà contro questo meccanismo globale di volerci uccidere con gli insetti. La farina di cavallette uccide le nostre tradizioni, la nostra cultura: dietro un ragù, un bicchiere di vino c’è la storia di una città, di un rione, di una famiglia. Chi di insetto colpisce, di insetto perisce…"

Carlo Casini