
di Stefano Brogioni
FIRENZE
Nadine Mauriot, commerciante di scarpe, e il suo fidanzato Jean Michel Kraveichvili erano venuti in Italia per partecipare a una fiera di calzature che si teneva a Bologna, nel settembre del 1985. Non è mai emerso se siano stati uccisi dal mostro di Firenze, nella tenda che avevano piantato agli Scopeti, prima o dopo quella visita. Forse, le 17 fotografie che avevano scattato con la loro macchina fotografica, sarebbero utili a ricostruire le ultime tappe della loro vita. Almeno. Ma quelle foto, sostengono gli avvocati Vieri Adriani, Antonio Mazzeo, e Valter Biscotti, sarebbero state viste soltanto da un testimone, un espositore di quella fiera, che non li riconobbe tra i suoi clienti.
Mai dai parenti dei due francesi, e neanche dai loro legali. Non solo: nelle due differenti istanze che gli avvocati hanno depositato in questi giorni a Firenze (una in procura, l’altra al presidente della corte d’assise), si chiede di poter fare totalmente accesso al maxi archivio della procura, dove potrebbe annidarsi altro. Perfino il nome di un altro sospetto, rispetto all’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti, la cui posizione è stata archiviata ma sul cui conto i rappresentanti delle famiglie delle vittime continuano a nutrire dei dubbi e chiedono alla procura che si ricominci ad indagare, elencando quanto non è stato fatto nella precedente tornata.
D’altronde, dal 1968 - quando la calibro 22 del mostro di Firenze sparò e uccise per la prima volta - ad oggi, sono passati più di cinquant’anni. Si sono susseguiti procedimenti e processi, dalla "pista sarda" fino alla ricerca dei presunti mandanti degli otto duplici omicidi, e si sono stratificati pure i misteri.
Oggi, il tentativo di tenere viva l’inchiesta infinita, è anche questo: aprire i cassetti, fare quello che ancora si può ancora fare, da aggiungere a quanto fatto finora.
L’appunto dei Servizi. Al pari di tanti altri misteri italiani, anche nei delitti del mostro spuntò il Sisde.
Nella nebbia dei fascicoli, che gli avvocati delle parti civili si dannano per potervi fare pienamente accesso, c’è un appunto del Servizio segreto civile, datato 29 novembre 1985, che puntava il dito su Giampiero Vigilanti. Era firmato M.M., e l’agente oltre a indicare il pratese quale possibile “mostro“, suggeriva di approfondire bene la sua posizione. Ma alcune parti della minuta, non vennero completamente trascritte e quindi la segnalazione agli inquirenti giunse incompleta. In particolare, mancano l’invito a indagare su di lui, il giudizio sulla sua pericolosità, la presunta disponibilità di armi oltre a quella High Standard che dal 1984 detiene ufficialmente.
Le orme sulle scene. Nell’istanza, Adriani, Mazzeo e Biscotti chiedono che l’impronta dello scarpone acquisita vicino alla Golf delle vittime di Calenzano (ottobre 1981), venga comparata con un’altra impronta di anfibio individuata a Scopeti, "non dubitandosi che anche tale impronta sia stata debitamente ben repertata e ben conservata nell’archivio della procura, visto l’interesse investigativo che da subito le fu attribuito". Finora, un’immagine dell’orma di Scopeti non è però mai emersa.
Così come non è mai finito nella lista dei sospettati della Sam (la Squadra anti mostro appositamente formata a metà degli anni ’80 per scovare il serial killer), il nome di un personaggio del Mugello contenuto in un’informativa dei carabinieri del Nucleo provinciale di Firenze depositata nell’ottobre del 1984. Un nome legato a un furto di armi, compresa una Beretta. Una pista che potrebbe prendere concretezza, ma soltanto dopo l’accesso ai fascicoli, in particolare al dossier firmato dal maggiore dei carabinieri Sebastiano Anzà nell’ottobre del 1984.