Ignazio Becchi, professore emerito dell’Università di Firenze specializzato in costruzioni idrauliche, marittime e idrologia, oggi torna l’allerta meteo. La domanda è tranchant: Firenze e l’area metropolitana sono zone esposte a rischio idraulico?
"È indubbio che vi sia un certo numero di piccoli o grandi rischi in giro per la città. L’Arno per esempio costituisce tecnicamente un rischio globale persistente. Vero, molti interventi si sono susseguiti negli anni, per “controllare” la quantità dell’acqua. Ma, nessuno lo dice, la mole enorme di veicoli presenti in città è un campanello d’allarme. Se il fiume esonda, queste galleggiano e fanno da diga".
Può dirsi vecchia la rete fognaria bianca dedicata alla raccolta delle acque piovane?
"La nostra rete fa rima con Poggi: il suo progetto di Firenze Capitale datato 1861 portò alla realizzazione di un qualcosa che prima non c’era, superando il sistema di scoli capillari che produceva fequenti rigurgiti delle piene"
Quanta traccia rimane oggi di questo modello ottocentesco?
"Ma quale traccia, la rete del Poggi è e rimane l’asse portante del sistema fognario".
Capitolo caditoie: ritiene sufficiente la ripulitura una volta l’anno nei 46 Comuni da parte di Publiacqua?
"Così però mettiamo il dito nella piaga. Parliamo di un manufatto idraulico ripulibile a mano utile sì a impedire ai detriti l’ostruzione della fognatura, ma progettato e costruito nel 2024 con criteri fermi all’800. Il nodo di oggi è gordiano: c’è una caditoia ogni 40 metri di via urbana, la loro sostituzione è insostenibile in termini di costi. E dal Poggi ogni piano urbanistico non ha mai tenuto conto del problema idraulico, forse perché chi li fa non conosce l’idraulica".
Quali considera zone rosse?
"La cassa d’espansione realizzata per il Mensola a Rovezzano credo non basti dato che a valle la strettoia causata dalla speculazione edilizia ha chiuso tutte le vie; Campi è città intera sul Bisenzio cresciuta nel comprensorio di bonifica, ma la sua espansione grava sul sistema di pompaggio dell’idrovora in funzione da oltre 20 anni, ancor più col progetto dell’aeroporto di Peretola. Alzare la pista riduce il rischio allagamenti, ma quello nelle zone circostanti resta. Non mi pare il caso di fare troppo affidamento sui due bacini di compenso previsti".
Che fare quindi?
"La prima cosa da fare è responsabilizzare la popolazione, informarla, motivarla, affinché sollecitino la pulizia non solo quando prevista da Publiacqua. Basterebbe un sistema a chiamata efficiente. Il coinvolgimento dei cittadini è importante, costa poco e produce tanto. La seconda: c’è troppa edificazione, servono più corridoi verdi. Ma la politica non riesce a mettere le mani nei sistemi edificati, perché prevale l’interesse privato. Quando mai si son visti espropri a fini idraulici a beneficio della collettività?".
Francesco Ingardia