BENEDETTO FERRARA
Cronaca

Le città e quel caos calmo: "Qui la voce delle mie periferie. Dentro ho il ’blues’ di Firenze"

Uno dei suoi scatti è esposto al centro Pompidou. Ha pubblicato con Piano e Calatrava. Così il digitale di Costa conquista il mondo: "Ma oggi dipingo: sperimento qualcosa di antico".

Uno dei suoi scatti è esposto al centro Pompidou. Ha pubblicato con Piano e Calatrava. Così il digitale di Costa conquista il mondo: "Ma oggi dipingo: sperimento qualcosa di antico".

Uno dei suoi scatti è esposto al centro Pompidou. Ha pubblicato con Piano e Calatrava. Così il digitale di Costa conquista il mondo: "Ma oggi dipingo: sperimento qualcosa di antico".

di Benedetto Ferrara

C’era una volta un ragazzo che amava la montagna, Camminava,scalava e si guardava intorno. Un giorno quel ragazzo dalla

muscolatura agile decise che quegli alberi, quelle rocce, quel

senso di libertà a pochi passi dal cielo valeva uno scatto, qualche scatto, tante fotografie. Così Giacomo Costa scoprì il suo talento. Da allora quella è diventata la sua vita e oggi espone in tutto il mondo. Una sua ’foto’ fa parte della collezione permanente al Centre Pompidou. Ma tutto esplose al suo ritorno a .

"Sì, ho abitato cinque anni in montagna. Era come vivere dentro una poesia. Quando decisi di tornare a vissi un momento difficile. Mi ero catapultato in una dimensione caotica a cui non ero più abituato. Provai un grande senso di claustrofobia".

E così ha iniziato a fotografare la sua città…a modo suo.

"Se dovessi definire il mio lavoro potrei dire che dipingo in qualità fotografica. Iniziai fin da subito a lavorare col digitale sulle mie immagini. Un procedimento che allora era quasi sconosciuto. Il mio obiettivo era raccontare la vita delle persone attraverso i paesaggi urbani".

E nelle sue opere gli umani sono assenti, perché?

"È stata una scelta. Volevo raccontare il disagio. E volevo farlo

lavorando sulle architetture, su quei palazzoni all’interno dei quali ci sono vite e storie. Ho fatto sempre assistenza come volontario nelle ambulanze. Entri in un palazzo e conosci le persone che ci abitano. Le periferie con le loro geometrie dicono tanto. Quando fotografi tutto questo non vedi chi ci abita eppure stai raccontando le loro storie".

E, in questo caso, nasce una immagine fuori dalla sua incantevole bellezza da cartolina. E la sua passione per l’architettura. Così ha creato qualcosa di decisamente originale e partecipando per due volte alla Biennale di architettura e una volta a quella di Arti visive..

"L’architettura mi ha sempre appassionato. Il testo del mio primo libro lo scrisse Norman Foster. E ho pubblicato le mie foto su Architecture Now per la Taschen con architetti come Borei, Calatrava, Piano. Che si creasse un rapporto con quel mondo era quasi inevitabile".

La fotografia a cui tiene di più?

"Paradossalmente quella che non ha alcun intervento col computer. Un giorno mi resi conto che dal terrazzo di casa mia la prospettiva che si creava era davvero originale. Le cupole della Sinagoga e del Duomo sembrano della stessa dimensione. E molto vicine. Mi sembrò una immagine molto evocativa: il vecchio e il nuovo testamento uno accanto all’altro. Quando la

pubblico sui social molti sostengono che è una creatura digitale. Invece no. E’ così, al naturale".

Renzo Piano una volta ha detto che il futuro delle città è nelle periferie. Lei che dice…

"Dico che nelle città d’arte come e Venezia oramai il fenomeno della gentrificazione è irreversibile. Tanti fiorentini si

allontanano, gli studenti non abitano più nel centro storico, che oramai è in mano ai turisti, Molti miei amici ormai vivono altrove. E come me, che insegno all’Accademia di Catanzaro, provano una forte sensazione di blues, di nostalgia".

Il paesaggio umano si trasforma. E anche le periferie mutano nel tempo.

"Sì, avvengono fenomeni curiosi. Penso a Novoli, che con l’università e la tramvia ha ripreso vita. Dal punto di vista architettonico si può discutere ma i servizi la rendono quasi indipendente. Poi c’è l’Isolotto, che è un quartiere a sé. Chi ci abita spesso è orgoglioso di dire “io sono dell’Isolotto” e la parte vecchia ha un che di romantico".

Ma l’identità della città si è un po’ perduta…

"Beh, perfino allo stadio sono arrivati gli studenti americani. Ma

al Franchi, per fortuna, l’identità fiorentina la senti ancora viva".

Anche lei rimpiange gli anni della cultura contemporanea fiorentina?

"Se parliamo dei mitici anni ’80, beh… allora era davvero un’altra

storia. Musica, arte moda. creava. Ma era una vita fa, il mondo è cambiato e nella cultura l’esterofilia impera. Ma io non mi lamento. Semmai cerco di evolvermi: ora ho iniziato a dipingere. Voglio sperimentare qualcosa di antico, di puramente manuale, senza fare ricorso alla tecnologia. In fondo scalare le montagne era la mia passione. E anche questa è una bella sfida".