Gherardo Guidi
Cronaca

Le notti fiorentine anni ’70. I primi Renato Zero e Amanda Lear

Il viaggio nel tempo (a puntate) del re della notte prosegue con i grandi miti della musica italiana

Renato Zero, con capello lungo e paillettes (Foto Colombo Francesconi)

Lasciato il Carillon in Versilia, mi spinsi verso Firenze, città che mi consentì d’incontrare imprenditori, nobili e nomi di livello. All’inizio degli anni ’70 i locali in voga erano Mach2, Arcadia, Club 67, Otto club che diventerà Yab, Full Up, per gli stranieri Red Garter e Space Electronic. Dovevo misurarmi con dei colossi, ma la sfida non mi preoccupava. Con Carla andavamo a Firenze per fare lo shopping nelle boutique. Ne approfittavo per qualche incontro di lavoro. Alla fine decidemmo di farvi crescere nostra figlia, Cristina, mandandola nelle scuole di città.

Il trasferimento coincise con un nuovo locale: il dancing “i Tigli”. Premetto: era all’ingresso delle Cascine, una zona di frontiera. Lavoricchiava ma aveva bisogno di una profonda ristrutturazione. Non era però quello il problema: una sala nel parco poteva creare fraintendimenti, così puntai su un cartellone di musica che ci smarcasse dai night tradizionali. Cercai un pubblico giovanile. L’esperienza mi rassicurava. Ma Firenze... faceva tremare le gambe. C’era una concorrenza di teatri, concerti e mode. E non erano anni facili.

Il ‘68 aveva portato le contestazioni, dalle piazze alle università, le bombe. Potevano esserci rischi (le pistolettate alla Bussola erano un fresco ricordo), ma ero abituato a farmi gli affari miei, a curare i miei interessi, senza divagare. Per me contavano rock, jazz e blues, l’eco di Woodstock, la voglia di vivere col "vento tra i capelli". I jukebox suonavano Nomadi, MogolBattisti, Patty Pravo, Mina, Celentano, Dalla, Baglioni. Puntai su qualità del servizio, musica dal vivo ed esclusive che andai a cercare da impresari romani. Risistemato il locale, a iniziare dal bancone bar, portai le migliori orchestre. Per capire la città iniziai a frequentare i ristoranti. Era un modo per incontrare potenziali avventori. Scritturai Beppe Grillo, le sorelle Bertè, Patty Pravo che mi ha seguito per decenni, Modugno, Cocciante, Pupo, Fred Bongusto e i Camaleonti.

Il pubblico arrivò. All’inizio un po’ dubbioso, poi si sciolse. Vestivano con pantaloni a zampa d’elefante, giacche di velluto, camicie dai colli larghi. Le donne con pantaloni e maglioni generosi, al massimo gonne kilt.

Il pubblico aveva voglia di ballare. Ricordo il rock acrobatico. Una frenesia che contagiava tutti. Gli unici a non trasgredire erano quelli del mio staff: sorriso e cortesia, vestiti bene. La musica la sceglievo io. Controllavo prenotazioni, ambiente, pronto a intervenire se qualcosa non andava. Le relazioni col pubblico, per evitar problemi, e le forze dell’ordine. Oltre che sull’aiuto di mia moglie, feci affidamento sui consigli che mi arrivavano da Piero Paoli, firma de La Nazione. Ma la regola era una sola: lavorare sodo. Perché la notte è una cosa seria. Se ripenso a quegli anni, l’eleganza determinava una pre-selezione. Molti vestivano da Vittadello, io avevo il sarto: cravatta, pochette, gemelli. Non sapevi mai chi poteva arrivare, fosse una stella del cinema o un nobile. Scritturai Zucchero ai tempi di Sugar and Candy, andai a Napoli a cercarmi i Domodossola, suggeriti da Arbore e Boncompagni. Il cliente non aspettava altro che divertirsi, tutti i fine settimana, dalle 21 a mezzanotte. Seicento persone. Me lo ripetevo, ho tanto da imparare.

I fiorentini si attendevano qualcosa in più. E io ebbi il coraggio di portare due artisti noti per le loro trasgressioni. Amanda Lear, musa di Salvador Dalí, apparsa sulla copertina di For Your Pleasure dei Roxy Music. E Renato Zero, rivoluzionario già prima che l’incontrassi. Il cielo, Amico, poesia. Vestiva con le paillettes e i capelli lunghi. Cantava Triangolo e Sgualdrina, al parco delle Cascine, non so se mi spiego. Funzionò.

Quando ritenni di aver capito, raddoppiai. Aprii il Regine sul lungarno Colombo, anni ’80. Per un pubblico più sofisticato. Scelsi il nome dopo aver incontrato Régine Zylberberg, colei che fece nascere il mito della discoteque. Era l’icona di Londra, New York e Monte Carlo. Aveva voluto il Jimmy’z a Monaco, portato il Duca di Windsor a ballare il twist. Inserii il dj, accanto al piano bar. E detti fiducia a un giovane coi riccioli: un certo Carlo Conti. Che ritroverò.

* Gherardo Guidi è lo storico patron della Capannina di Forte dei Marmi