FIRENZE
Cronaca

Le storie di chi c’è l’ha fatta: "Rischiavo di perdere mio figlio mi hanno trovato un lavoro"

Da Maria che ha trovato il suo nido in piazza Puccini al 30enne salvato in sala operatoria. Ecco le vite di chi ogni giorno lotta per il suo posto nel modno. "In alcuni casi si può rinascere".

Le storie di chi c’è l’ha fatta: "Rischiavo di perdere mio figlio mi hanno trovato un lavoro"

Le unità di strada si occupano anche di sostegno tramite generi di conforto

di Manuela Plastina

Tra le centinaia di persone che Jacopo Lascialfari e gli operatori di strada hanno incrociato nel loro incredibile mestiere, c’è Maria, peruviana, da circa 20 anni in Italia in piazza Puccini, seguita dall’inverno del 2018. Alcuni familiari presenti a (tra cui un figlio) nei momenti in cui riesce a non bere accolgono lei e il compagno in casa, per poi allontanarli quando la dipendenza da alcol prende il sopravvento. La vita di strada non fa per lei, ma le strutture non accolgono il compagno. Senza di lui non si muove. Nel tempo la salute peggiora: non cammina e perde la vista per cataratta e glaucoma.

Col Progetto Insider, l’Ufficio marginalità del Comune e il Centro diurno La Fenice, viene accompagnata a visite specialistiche fino all’operazione, che accetta. Anche l’accoglienza in una struttura sociale residenziale finisce per colpa dell’alcol e torna in strada. Sert e Spazio Donna, le permettono di ripartire e ricreare un rapporto coi parenti in Perù, dove Maria torna a luglio 2023. Sta bene e manda foto cui passeggia al tramonto sulla spiaggia, elegante signora di mezza età che ha ritrovato la pace. M. invece per strada non c’è mai finita, ma ha rischiato anche di essere allontanata dal figlio 14 enne.

A 38 anni per loro nella casa-famiglia dove vivono non c’è più posto. Se non trova un lavoro e un alloggio, perderà il figlio. Nel suo caso, le unità di strada sono intervenute in maniera preventiva: con l’aiuto ed il supporto del centro diurno La Fenice e degli operatori, dopo un anno di prolungamento dell’accoglienza, ha trovato lavoro come colf mentre frequenta il corso di Oss.

Ora lavora in Rsa e con Abitare Solidale ha trovato casa in un bilocale col figlio, dove scrivono insieme il loro futuro. Per GN, classe 1959, originario di Bari a da oltre 30 anni, la strada è una scelta. Con la sua gentilezza usata come scudo, girando vicino alla stazione di Rifredi col suo carrello, rifiuta qualsiasi aiuto. Anni di tentativi, trovano la svolta in una notte in cui lui stesso chiede ospitalità all’albergo popolare. Non si sente bene, dice. Viene riconosciuto, accolto e convinto a fare delle visite: ha una grave patologia cardiaca. Ma lui vuole tornare in strada: non vuole essere curato, preferendo la sua normale quotidianità e il suo carrello. All’ennesimo accesso al pronto soccorso di Santa Maria Nuova in cui rifiuta il ricovero, gli infermieri chiamano le Unità di Strada e gli operatori lo riconoscono: vanno da lui in ospedale e lo convincono a un intervento che risulta poi vitale.

Da lì inizia la degenza, la riabilitazione in struttura e ora l’accoglienza in una Rsa dove il gentile GN rimarrà fino alla fine. Storie diverse, di vita, di errori, di speranze. Storie che vivono nelle nostre strade e che celano, dietro una coperta e un cartone, qualcosa di più che solo l’impegno e l’esperienza possono far emergere e – forse – risolvere.

"Non esiste – spiega ancora Jacopo Lascialfari, coordinatore delle Unità di Strada, – , l’identikit del senzatetto-tipo: è una popolazione estremamente eterogenea, di italiani o migranti, con o senza documenti, ex detenuti, donne che fuggono dalla violenza, persone con dipendenze o problemi di salute mentale, anziani non in carico ai servizi. Le motivazioni per cui si trovano in strada, sono eterogenee: ognuno ha la sua storia. Ci sono passi avanti e passi indietro, lavoriamo sulla prevenzione e sull’inserimento, ma chi sceglie è la persona che abbiamo davanti: nessuno di noi pensa di poter salvare l’altro, ma diamo opportunità per trovare dentro sé le risorse per cambiare". Ora si sta lavorando per un monitoraggio costante delle persone, per dare risposte sempre più idonee.