di Pietro Mecarozzi
Tra le vele di Capalle, alle porte di Campi Bisenzio, non si fanno domande di cui non si vuole conoscere risposta. Ognuno tira dritto. In strada ci si guarda appena. Con sospetto, e una vena di odio. Nell’aria c’è odore di cumino e bitume appena spalmato al suolo. Alle finestre dei palazzoni scrostati, gli occhi di chi non sa cosa lo attende nel futuro. Lo stesso futuro che ha deciso di non concedere a Maati Moubakir, il 17enne accoltellato a morte all’alba di domenica 29 dicembre in via de’ Tintori a Campi, dopo una serata passata in discoteca.
Cinque dei sei indagati per quell’omicidio vivono qui. Chi li conosce chiede subito: "Cosa hanno combinato?". Nella macelleria di vicinato quei nomi risuonano come un allarme in piena notte. Ma nessuno si sbilancia. Scuotono la testa e passano al cliente successivo.
"Certo che li conosco – ci spiega una signora sull’androne del condominio –, ma non ci siamo mai rivolti parola. Le loro famiglie sono chiuse, hanno usi e costumi diversi e non cercano di integrarsi".
Scorrendo i nomi sui citofono sembra di fare il giro del mondo. Il campanello suona a vuoto. In casa non c’è nessuno, o forse a nessuno va di rispondere per timore di altre brutte sorprese. Nella stessa strada sono residenti tre dei sei componenti del branco che avrebbe massacrato Maati. Basta fare pochi metri a piedi e la città cambia: i palazzoni lasciano spazio a villette basse e fatiscenti, accerchiate da negozi di quartiere. Da fuori sembrano denti marci in un sorriso.
Appesa al terrazzo di un civico c’è la bandiera della pace. È la casa del giovane che avrebbe afferrato Maati per il collo mentre cercava rifugio sul bus, e una volta a terra l’avrebbe accoltellato al petto. Brutale. Come un’azione di guerra. Altro che pace. "Un ragazzo e una famiglia per bene – dice la negoziante dirimpettaia, all’oscuro delle accuse mosse sul giovane –. Lavora e da poco si è anche trovato la fidanzatina, spero non gli sia successo nulla di grave".
A due chilometri e mezzo la periferia cambia ancora. La via dove è residente il più grande degli indagati è ostaggio di scorribande e razzie. "Qui abbiamo perso la speranza – spiega Maria, la storica barista di quartiere –, ogni sera spaccano finestrini delle auto per frugarci dentro. Spariscono biciclette di continuo, e la notte diventa una piazza di spaccio, con gruppi di giovani che spadroneggiano e impauriscono i residenti. Non sono sorpresa, quindi, se qualcuno di loro si è messo nei guai".
Anche qui, gli interessati, preferiscono il silenzio. Rifiutando domande di cui conoscono, ahimè, le risposte.