Firenze, 8 novembre 2015 - CARO MANCINI vedo sempre più gente che rovista nei cassonetti della spazzatura alla ricerca di indumenti o avanzi di cibo. Mi chiedo che cosa posso fare perché il Giubileo della Misericordia non sia solo uno slogan.
Giovanna Berti, Sansepolcro
La povertà è una condizione sempre più diffusa della quale, credo, la percezione è forte. Assistere a scene come quella che lei descrive, aiuta a capire dove può sconfinare la disperazione. Mi vengono in mente le parole di Primo Levi: «Voi che siete sicuri/nelle vostre tiepide case/voi che trovate tornando a sera/il cibo caldo e visi amici:/considerate se questo è un uomo». Cara Giovanna, ho visto uomini gettarsi con voracità nel piatto degli avanzi dove avevano mangiato altre persone, rosicchiare ossi come cani, cercare mozziconi di pane buttato via. Non è retorica. E’ fame. Abbiamo un Papa che si chiama Francesco, dunque la povertà – al netto delle polemiche di questi giorni sugli sperperi del clero in Vaticano – non è invisibile, anzi è un connotato essenziale della Chiesa di Bergoglio. Dobbiamo fare di più, anche nelle cose semplici. Lei chiede in che modo? Faccio un esempio, per spiegare come la generosità può essere concreta e più diretta. In Francia e in Belgio – ma pare che sia stata praticata a Napoli nel Dopoguerra – c’è l’usanza di acquistare in favore di chi non ha mezzi. Un’idea di solidarietà, nota come ‘caffè sospeso’ o ‘pane in attesa’. Funziona così: un cliente entra in un bar e paga tre caffè, uno per sé e gli altri due per degli sconosciuti che quel giorno non hanno i soldi per una bevanda calda. La stessa iniziativa può essere estesa ad altri prodotti: una focaccia, il pane dal fornaio per una famiglia in difficoltà, fino a un pasto in trattoria per chi può. Costa quanto un’elemosina (che per molti nuovi poveri sarebbe più mortificante) e garantisce continuità nell’assistenza. Quindici anni fa a Napoli, il panettiere del ‘Panificio Mosca’ si serviva di una lavagna esposta in vetrina, dove indicava: «un pane in attesa», e chi aveva bisogno andava a prenderlo. Sarebbe un’abitudine sociale più stabile dei pranzi offerti in occasione delle ricorrenze, che si esauriscono giusto il tempo di Natale e di Pasqua. Potrebbe essere questo, cara Giovanna, un piccolo contributo popolare al Giubileo della Misericordia. Se qualche associazione o un’istituzione pubblica se ne facessero promotori staremmo tutti un po’ meglio. Anche dentro di noi.