di Pietro Mecarozzi
La certezza di cosa sia accaduto domenica sera al Franchi a Edoardo Bove è ancora presto per saperla. Servirà tempo, analisi e controanalisi. Ma soprattutto servirà un quadro completo sulla salute del ragazzo, per comprendere quale sarà il suo futuro, anche a livello sportivo. Intanto, per comprendere meglio ipotesi e scenari ci siamo affidati al dottor Paolo Manetti, ex medico della Fiorentina per 15 anni e specialista della medicina dello sport.
Manetti, dopo la grande paura, cosa sappiamo sul malore si Bove?
"Bisogna attendere i risultati degli esami. In particolare della risonanza magnetica, che sarà in grado di chiarire se ci sono cicatrici o anomalie sul cuore, e di uno studio genetico per stabilire se la malattia è di origine genetica, ovvero presente dalla nascita"
Potrà tornare a giocare?
"Anche questo è presto per dirlo. L’aritmia accusata da Bove può essere causata da una malattia cardiaca strutturale di origine per l’appunto genetica. Oppure questa tipologia di anomalie cardiache può essere anche di natura isolata e irripetibile, provocate da un virus che a sua volta può causare una malattia transitoria, come per esempio la miocardite. Il tutto potrebbe essere stato esasperato da una situazione di valori bassi di potassio, come hanno rilevato gli esami eseguiti".
Quindi?
"Nel caso di un arresto cardiaco, è difficile, almeno in Italia, che un medico conceda in prima istanza l’idoneità sportiva. In caso di una tachicardia senza un arresto cardiaco vero e proprio, il giocatore ha invece più probabilità di tornare in campo".
È davvero impossibile diagnosticare certi tipi di problemi?
"O perché sono di tipo transitorio, o perché sono ultra strutturali, certe patologie non sono facili da vedere. La prevenzione per prevedere questi episodi non è ancora stata realizzata, e forse non è realizzabile. Anche se dall’inizio delle visite di idoneità sportiva si è registrato una riduzione del 90% delle morti cardiache improvvise negli atleti".
Il protocollo medico in Italia è molto rigido. All’estero invece, come nel caso di Christian Eriksen, l’approccio è diverso. Cosa cambia?
"In presenza di un arresto cardiaco da fibrillazione ventricolare, dove il paziente è sopravvissuto grazie alla defibrillazione, si è in presenza di una situazione aritmica grave, e come nel caso di Eriksen, dovrà essere impiantato un defibrillatore sottocutaneo. Questo perché dopo un arresto provocato da una patologia simile c’è un alto rischio di recidive. La possibilità di competere con un defibrillatore impiantato non è nemmeno contemplata nel nostro Paese, a qualsiasi livello, anche perché la responsabilità dell’idoneità sportiva ricade solo sul medico. In Premier League, invece, è possibile giocare a livello agonistico con un defibrillatore sottocutaneo, perché la responsabilità è condivisa tra medico e giocatore, che accetta di correre determinati rischi".
I soccorsi sono stati fondamentali per il numero 4 viola. Ma nello ’sport minore’ spesso non vengono garantiti gli stessi standard...
"Purtroppo manca ancora un’educazione su questo tema. Nei campi delle categorie minori, o nelle palestre, a volte sono presenti defibrillatori che nessuna sa come usare. Capita che sono tenuti nascosti negli armadietti, o manca del tutto la manutenzione dell’apparecchio. È gravissimo: perché se applicato entro i quattro minuti, c’è una percentuale molto alta di salvare la vita a una persona".