di Sandro RogariQuella del Museo Ginori è una triste storia. Da ben dodici anni, la chiusura conseguente al fallimento della Richard Ginori ha sottratto al territorio, alla comunità nel senso più ampio del termine, non solo nazionale, la fruibilità di un Museo straordinario. Diecimila pezzi che permettevano di ripercorrere la storia della Ginori dalle sue origini, nel lontano 1737, quando Carlo Ginori avviò i primi manufatti in porcellana bianca. Era una tecnica di derivazione cinese, ma presto adattata alla cultura locale per farne strumento di riproduzione di modelli statuari celebri e poi, nel tempo, divenire strumento di produzione artistica. Arte e fruibilità quotidiana del prodotto artistico: questa la chiave del successo della manifattura che nasceva agli albori del riformismo illuminato e rifletteva le capacità rigenerative del vasto territorio fiorentino. La storia della manifattura nel XX secolo è stata contrastata. Felice, soprattutto sotto il profilo artistico, quella legata alla creatività di Giò Ponti nella prima metà del secolo, di progressivo declino quella della seconda metà. Fino alla chiusura del Museo nel 2013. Nel 2017 interviene lo Stato. Poi dal 2019, promossa dal ministro Franceschini, opera meritoriamente la Fondazione Museo Archivio della Manifattura di Doccia per gestire il processo di riapertura del Museo nell’interesse della cittadinanza. A fine 2023 è parso che i lavori di ristrutturazione della sede del Museo dovessero ripartire. Il ministro della Cultura Sangiuliano reperisce le risorse volte ad attivare il cantiere della ristrutturazione della sede museale, progettata negli anni ’60 dall’architetto Berardi. Il cronoprogramma prevedeva che l’inaugurazione di almeno parte di essa dovesse avvenire in questi giorni. Ma il 24 ottobre 2024, allo scadere del consiglio della Fondazione presieduto da Tomaso Montanari, l’organo entra in un lungo stato di prorogatio che impedisce di assumere qualsiasi iniziativa, nel silenzio del Ministero. Da qui la lettera di sollecito di Montanari al ministro della Cultura Giuli e di qui la risposta del ministro con la rimozione coatta di Montanari, pur dopo il parere favorevole alla conferma di Regione e Comune. Dunque, vale di più fare guerra ideologica a Montanari o curare gli interessi del Museo e della comunità?
CronacaL’impasse e la guerra ideologica