REDAZIONE FIRENZE

Lindon all’Alfieri nel nome del padre: "Il sogno? Girare un film a Firenze"

L’attore sabato sarà all’anteprima del film ’Noi e loro’. "Una storia d’amore tra radicalizzazione e verità"

Il film viene presentato in anteprima a Firenze: uscirà in Italia il 27 febbraio

Il film viene presentato in anteprima a Firenze: uscirà in Italia il 27 febbraio

di Giovanni Bogani

FIRENZE

È uno dei talenti veri del cinema mondiale. Non riconciliato, ruvido, impetuoso, impulsivo, recita di cuore e di pancia: intenso, travolto dalle emozioni e travolgente. Macho ma tenerissimo, appassionato e dolce allo stesso tempo. Sempre, quando sullo schermo c’è lui le emozioni sono forti. Vincent Lindon sarà a Firenze sabato, al cinema Spazio Alfieri di via dell’Ulivo, a presentare il film con cui ha vinto una meritatissima Coppa Volpi a Venezia, lo scorso settembre. Quando a Venezia gli hanno consegnato il premio, il suo discorso di ringraziamento è stato un turbinoso affollarsi di emozioni: risa, lacrime, sette minuti di monologo gridato al mondo.Il film viene presentato in anteprima a Firenze: uscirà in Italia il 27 febbraio. Si chiama ’Jouer avec le feu’, in italiano ’Noi e loro’. È diretto dalle registe Delphine e Muriel Coulin. La proiezione sarà alle 21.15, alla presenza di Lindon e del giovane attore che nel film interpreta suo figlio, Stefan Crepon. Con loro, il console francese Guillaume Rousson e Francesco Ranieri Martinotti, direttore del festival France Odéon, che aveva ospitato l’attore francese a Firenze lo scorso novembre. "Sarei felice di passarci qualche settimana, a Firenze. Anzi, mi piacerebbe proprio girare un film qui", ci aveva confidato in quella occasione Lindon.

C’è qualche regista italiano con cui lavorerebbe volentieri?

"Sì, più di uno. Ma non dico i nomi, per scaramanzia. Non amo sognare a occhi aperti, ma se arrivasse una proposta, ne sarei felice".

Nel film ‘Noi e loro’ lei interpreta un padre alle prese con un ragazzo che si unisce a gruppi neofascisti.

"Sì. La storia è quella di un padre che cresce da solo i suoi due figli. Il maggiore, Fus, si avvicina a movimenti violenti e razzisti, all’opposto dei valori in cui crede il padre. È il problema della cosiddetta ‘radicalizzazione’ dei giovani, molto forte in Francia. Ma per me, il film è soprattutto una storia d’amore fra un padre e un figlio. Non sono un esperto di politica, ho solo cercato di vivere i sentimenti del mio personaggio".

Un film non deve mandare messaggi?

"Non devo farlo io, se non altro. Lo spettatore deve vivere sulla sua pelle le emozioni, la collera, il furore, e maturare dei pensieri suoi. Non glieli devo suggerire io".

In un’epoca dominata dai social, lei non ha profili Facebook o Instagram. È vero?

"Verissimo. Non ho nessun social. Perché non voglio sapere come si chiama il tuo gatto, non voglio sapere in che ristorante hai mangiato ieri, o se ami gli alberi. Voglio scoprirlo, semmai, quando ci incontriamo, vis à vis. Prima, quando ci si incontrava in un caffè, c’erano mille cose da dire. Ora si sa già tutto dell’altro. E lo sa, potenzialmente, tutto il mondo".

Però ha un piccolo quaderno nero che riempie di note, è vero?

"E lei come lo sa? Sì, è questo qui". (E tira fuori dal giaccone un taccuino, pieno di note scritte a mano).

Ha un metodo, per affrontare i suoi personaggi?

"Se ce l’ho, è quello di vivere il personaggio, con tutto me stesso. Tutto passa per l’istinto, per il corpo. Dopo tanti anni, non so ancora ‘come si fa’ a fare l’attore. Se lo sapessi, diventerebbe soltanto una questione di tecnica. E io non voglio che sia una questione di tecnica, ma di vita".