Lo stragismo rosso e nero. Gli anni più bui del Paese: "I terroristi non sono eroi"

L’ultimo libro dell’ex prefetto Padoin e le battaglie contro i movimenti eversivi "Racconto il disagio dell’uomo che uccide l’altro uomo con la spietatezza del killer" .

Lo stragismo rosso e nero. Gli anni più bui del Paese: "I terroristi non sono eroi"

Lo stragismo rosso e nero. Gli anni più bui del Paese: "I terroristi non sono eroi"

di Fabrizio Morviducci

"I terroristi non sono degli eroi, ma criminali. Credo sia opportuno riportare la narrazione su un binario di verità". Paolo Padoin è stato prefetto di lungo corso. Nella sua lunga carriera ha lottato con i più disparati movimenti eversivi che nelle varie epoche hanno attraversato il nostro Paese. Il suo ultimo libro “Terrorismo rosso e nero. La testimonianza di un prefetto“, racconta esattamente questo.

Padoin, come è nato il suo libro?

"Volevo raccontare il disagio che si prova quando un uomo che ha ucciso un altro uomo con la spietatezza del killer cerca di spiegare la sua visione del mondo, riscrivendo in qualche modo quei fatti. Quando si parla di terrorismo il ricordo di quegli eventi è sempre quasi affidato da autori e registi a chi stava dalla parte sbagliata e non alle loro vittime".

Lei invece come si è rapportato ai fatti?

"Ho dedicato il mio libro alla memoria di Mariella Magi Dionisi (la vedova dell’agente Fausto Dionisi ucciso a Firneze nel 1978 dai militanti di Prima Linea) scomparsa nel dicembre 2023. Negli anni ci ha insegnato che la legalità è un valore non negoziabile. La presentazione del libro, alla quale spero sarà presente anche la figlia Jessica, la faremo vicino a via delle Casine dove avvenne l’agguato mortale a Dionisi".

Il terrorismo ha segnato parte della sua carriera

"Fin dall’inizio, dalla mia prima nomina. Era il 15 maggio del 1972, quando prendevo servizio ad Arezzo sostituendo il prefetto di allora, Stanislao Pietrostefani. Il 17 maggio di quell’anno venne assassinato il commissario Luigi Calabresi. Successivamente con l’accusa di essere uno dei mandanti di quell’omicidio, venne arrestato il figlio del mio predecessore, appunto Giorgio Pietrostefani. E poi a Firenze prima da funzionario, poi da capo di gabinetto del prefetto, i due attentati dinamitardi del terrorismo nero, le stragi dell’Italicus (1974) e del rapido 904 (1984)".

Dopo gli anni di piombo cosa ha dovuto fronteggiare?

"A Torino tutta la questione dei movimenti No Tav e delle attività nel centro sociale Askatasuna, a Pisa lo sventato assalto a Camp Darby da parte dei movimenti antagonisti, oltre alle indagini sulla colonna pisana delle Br dopo l’omicidio di Marco Biagi. E a Padova la cellula del partito comunista combattente che programmava l’uccisione del giuslavorista Pietro Ichino. A Firenze sono tornato nel 2010, giusto in tempo per seguire la vicenda della strage di piazza Dalmazia".

Quale insegnamento si trae da queste storie tragiche?

"Che non dobbiamo abbassare la guardia. Anche se ultimamente sembra le minacce sembrano essersi ridotte, dobbiamo continuare a tenere alta l’attenzione. Negli anni ho avuto la fortuna di collaborare con magistrati determinati e capaci. Sono sicuro che la nostra magistratura e le forze dell’ordine fanno buona guardia".