L’odissea dei migranti. Dieci anni di attesa per un appuntamento: "Il sistema è intasato"

Molti degli extracomunitari che arrivano a Firenze devono affrontare un lungo iter per fare domanda e fissare il giorno del giuramento. Il dirigente della Caritas: "Adesso una legge con ius soli e ius scholae".

L’odissea dei migranti. Dieci anni di attesa  per un appuntamento: "Il sistema è intasato"

L’iter è di oltre dieci anni solo per avere un appuntamento

di Pietro Mecarozzi

Bogdan e Alena scapparono dalle guerre jugoslave e trovarono asilo a Firenze. Era la fine degli anni Novanta, e come la giovane coppia migliaia di profughi attraversano i Balcani per sfuggire alle crudeltà dei conflitti armati. Una carovana umana che, in parte, si rifugiò nel capoluogo toscano, dando vita pian piano al cosiddetto campo rom del Poderaccio. Bogdan e Alena, dopo aver fatto richiesta per il permesso di soggiorno e aver sostenuto un iter lungo circa dieci anni, grazie alla residenza riconosciuta proprio in quell’area che tanto ha fatto discutere prima della sua demolizione, sono riusciti a ottenere la cittadinanza italiana. "Con il permesso si soggiorno – spiegano i due – non rischiavamo l’espulsione dal Paese, ma abbiamo comunque voluto concludere il nostro percorso di inclusione, perché dopo tanti anni in città ci sentivamo italiani". Come loro, molti altri ospiti del campo hanno finalizzato la prassi e sono diventati cittadini italiani. "È stato un esempio di integrazione corretta", commenta Marzio Mori, dirigente dell’area immigrazione e marginalità della Fondazione Caritas fiorentina nonché consigliere comunale, che in quegli anni si occupò del caso. "A distanza di così tanti anni – continua Mori – rimangono però ancora molti problemi. A partire dai tempi burocratici: per presentare la richiesta di cittadinanza devi dimostrare di aver mantenuto la residenza legale e ininterrotta sul territorio nazionale per dieci anni".

Poi viene fissato un appuntamento: "E lì si devono attendere altri anni prima del giuramento e del breve esame di lingua. È un’odissea praticamente". Un’odissea che hanno dovuto sorbirsi anche le numerose famiglie fuggite dal continente africano e arrivate in Italia. Asad e Zèudi, per esempio, a Firenze hanno trovato la loro dimensione ideale: sbarcati nel 2014 sulle coste italiane dopo un viaggio della speranza fra le onde del Mediterraneo, in città sono prima stati presi in carico dal sistema di accoglienza, per poi ’emanciparsi’ e diventare autonomi, con tanto di lavoro e una casa dove abitare. Qui sono anche nati i loro figli, che tuttavia non hanno ancora la cittadinanza.

In base al principio dello “ius sanguinis”, infatti, se un minore è nato in Italia ma i genitori non sono cittadini italiani il figlio non ottiene la cittadinanza e può diventare cittadino italiano solo dopo aver compiuto 18 anni. "Per questo – conclude Mori – dovrebbero diventare legge lo “ius soli” e lo “ius scholae”: il primo prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga in automatico la cittadinanza, il secondo prevede la concessione della cittadinanza ai minori stranieri che completano uno o più cicli scolastici in Italia".

Il Tar della Toscana, nel frattempo, sta sollevando, in numerose sentenze, una questione di merito sui permessi di soggiorni per protezione speciale convertiti a motivi di lavoro. Per la questura fiorentina, le richieste sono inammissibile secondo quando previsto nel ’decreto flussi ’ del 2023. Per il tribunale amministrativo, invece, "resta ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno in permesso di soggiorno per motivi di lavoro", e per questo accoglie quasi la totalità dei ricorsi di cittadini stranieri, disponendone una nuova istanza di conversione.