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di Titti Giuliani Foti
"Silvio Loffredo è stato in assoluto alla pari di pochi altri l’artista a cui sono stato più affezionato. Penso a Maccari, Marcucci, Venturino e Ranaldi. Ho seguito il suo lavoro giornalmente, organizzando per lui mostre per più di trent’anni". Così Piero Pananti, gallerista di riferimento di una Firenze romantica, raffinata e colta, ricorda l’amico nel centenario dalla nascita. Loffredo era nato a Parigi da genitori italiani di Torre del Greco nel 1920. "C’è sempre stato un giudizio unanime su di lui di persona buona e generosa oltre che un pittore e incisore come pochi altri. Era estroso ed eccezionalmente dotato – ricorda Pananti– aveva dipinto soggetti, alcuni dei quali se replicati come usava allora e oggi, avrebbero potuto avere un fortunato seguito commerciale. Ma la cosa era contro la sua natura di vero bohemien. A volte dietro mie insistenze provò a ripetere i soggetti storici più graditi al pubblico dei collezionisti. Allora per farmi contento cominciava a dipingere ma strada facendo la sua prepotente creatività lo costringeva a fare altro". E la sua famosa ricerca espressiva? "Era sconfinata: lo aveva portato a sperimentare primo in Italia una passione quasi ossessiva di cinema underground. Verso l’inizi degli anni ’60 lavora a diversi cortometraggi con una vecchia macchina Super8, per lungo tempo inseparabile appendice corporea". Il mercato dell’arte pare averlo dimenticato: "Loffredo non trova ancora lo spazio che meriterebbe e nessuno dalla sua morte l’ha più ricordato degnamente come meriterebbe". Loffredo nell’immediato dopoguerra torna a Parigi e infine trova casa a Firenze, città dove sceglie di rimanere tutta la vita divenendo una delle figure di riferimento del panorama artistico: amico di Ottone Rosai e Ardengo Soffici, era stato promotore di un continuo scambio di esperienze tra Italia e Francia. Negli anni ’50 si reca in Austria ed è amico di Oskar Kokoschka, che diventerà suo maestro e riferimento culturale influenzando la sua ricerca stilistica.
"Voglio ricordare la sua pittura, di impostazione figurativa, lo stile ironico, libero e riconoscibile – conclude Pananti – post espressionista. E i suoi temi ricorrenti come i gatti, i ritratti, i battisteri, immagini di vita in città, i bestiari che hanno fatto epoca e storia". Nel suo studio di piazza Santa Croce, dove erano appoggiate a terra decine di tele, l’interpretazione sì dei famosi battisteri, ma anche anche dei nudi femminili. Da Firenze la sua memoria si è arrivata nel mondo: le sue opere sono nei musei di Roma, di New York, Parigi, Bruxelles, Milano, Pisa. E due suoi autoritratti sono esposti agli Uffizi. Era un grande Loffredo: follemente dimenticato.