"Le canzoni sono mezzi straordinari che ci fanno viaggiare nel tempo, nello spazio e con la memoria". Parola di Luca Barbarossa, uno dei cantautori italiani più amati, vincitore del Festival di Sanremo con ’Portami a ballare’, brano dedicato a sua madre Annamaria, e storico conduttore colto e ironico di Radio2 Social Club. L’artista fa tappa al Teatro Puccini di Firenze sabato prossimo (ore 21; info e biglietti: 055.362067 o www.teatropuccini.it) con ’Cento storie per cento canzoni’, progetto teatrale tratto dall’omonimo libro, uscito a maggio scorso per La Nave di Teseo. Con lo spirito del cantastorie, Barbarossa canterà e suonerà dal vivo le canzoni protagoniste della sua opera letteraria e ne racconterà i retroscena, le curiosità che si nascondono dietro ognuna di esse, ma anche il contesto storico, legato a doppio filo con il nostro vissuto (le trasformazioni della società, le battaglie per i dirtitti civili, le rivoluzioni di costume), quello che proviamo e ricordiamo attraverso ogni singola canzone. Nel libro come nella scaletta dello spettacolo si spazia da Frank Sinatra a Vasco Rossi, da Lucio Battisti a Bob Dylan, dai Beatles a Paolo Conte, da Franco Battiato a Pino Daniele
Luca, questo spettacolo è molto più di un concerto?
"Assolutamente sì. È uno spettacolo che chi fa il mio mestiere sogna per una vita perché mette insieme varie anime, il racconto, la musica dal vivo e la proiezione delle immagini porta il pubblico dentro ogni canzone. Questo è uno spettacolo che mi appartiene e vorrei portarlo con me il più a lungo possibile".
Nel libro racconta cento storie per cento canzoni, in scena non può portarle tutte: come ha scelto?
"La scelta è stata difficile. Ci sono storie irrinunciabili che tengo particolarmente a raccontare. Oltre ad aver selezionato i brani che interpreto meglio a livello vocale, ho ragionato su quali storie volessi far conoscere al pubblico. Ho scelto, così, una ventina di canzoni in modo da affrontare argomenti che spaziano dai diritti civili alla guerra senza dimenticare i cento anni della radio".
Una canzone che le sta particolarmente a cuore?
"Più di una... tutte (ride, ndr). ’I muscoli del capitano’ di De Gregori, perché al suo interno si cela un’altra canzone. Il brano parla del Titanic e viene citato il naufragio della nave Sirio del 1906, la nostra più grande tragedia marittima: i migranti italiani, in partenza da Genova verso il Sud America, persero la vita a Capo Palos, sei anni prima del disastro del Titanic: una vicenda che è sempre rimasta orfana di racconti, se non in una canzone popolare scritta da Caterina Bueno, che De Gregori cita nel suo brano".
Un’altra?
"’Le Déserteur’ (il disertore), canzone francese conosciuta in tutto il mondo, scritta da Boris Vian nel 1954 e pubblicata nell’esecuzione di Marcel Mouloudji il 27 maggio di quello stesso anno, giorno della disfatta della Francia nella Battaglia di Dien Bien Phu, che segna la fine della guerra d’Indocina. Il testo è un inno antimilitarista e io sogno un mondo di disertori".
Riprendendo il titolo di un suo famoso album, quali sono oggi ’Le cose da salvare’?
"Siamo noi che dobbiamo trovare la strada per salvarci e salvare le generazioni future. Io appartengo a una generazione fortunata, sono nato in tempo di pace e mai avrei pensato di trovarmi una guerra alle porte di casa, così come non credevo possibile il riaccendersi della questione mediorientale. Viviamo un momento difficile".