di Pietro Mecarozzi
È l’unica vera roccaforte rimasta al Pd, e mai come in passato il voto a Firenze (8 e 9 giugno) inciderà sul destino del partito e della sua segretaria, Elly Schlein. Il quadro politico, a oggi, rimane frantumato e confuso. Da una parte, la paura di perdere ha allarmato i piani alti di Palazzo Vecchio e pure quelli del Nazareno. Dall’altra, il centrodestra tenterà di cavalcare il consenso guadagnato in campo nazionale e regionale – sette province su dieci in Toscana sono sotto l’egida della coalizione di Governo –, cercando il colpo grosso anche in città (anche se a tre mesi dal voto non ha ancora espresso un candidato).
Brividi e colpi di scena a parte, entrambi gli schieramenti sono a un bivio e, come ci insegnano gli Usa (con i dovuti paragoni) dove nulla è ormai scontato, adesso contano i numeri: ogni scheda è importante, sia a sinistra sia a destra, sia per le amministrative sia per le europee. Come del resto insegna il passato: il voto per le europee del 26 maggio 2019, confermò il consenso del Partito democratico a Firenze, dove ottenne il 43,70% (in netto calo rispetto a cinque anni prima, quando raccolse il 57,54%), ma allo stesso tempo mostrò le prime crepe del muro rosso. Subito dopo si piazzò infatti la Lega al 20,26% (nel 2014 era appena all’1,73%, quindi +18,5% circa), M5s al 9,75% (era al 12,69% nel 2014), Forza Italia al 5,51% (praticamente dimezzata rispetto al 10,09% del 2014), Fratelli d’Italia 5,25% (era 3,53% nel 2014).
Secondo i dati del ministero dell’Interno e del Comune, nella zona di Firenze Sud, Rifredi e a Campo di Marte i dem si avvicinarono alla maggioranza assoluta. Allo stesso tempo, però, in diverse sezioni del centro storico scivolarono al di sotto del 35%. Marcato fu anche il distaccamento dalle zone popolari della città: le poche sezioni nelle quali primeggiò il centrodestra si trovavano nei quartieri dell’Isolotto, di Novoli e delle Piagge. Il centrodestra, ai tempi a trazione leghista, in queste urne superò il 30%, pur non andando oltre il 20,26% totale.
Ma quanto pesa la partita europea su quella cittadina? Tanto, perché anche nel 2019 il sindaco Dario Nardella (Pd), che fu rieletto al primo turno con il 57,05% dei voti, in diverse sezioni centrali ottenne meno del 55% delle preferenze, mentre in altre zone più voti della coalizione di centrosinistra alle elezioni europee. Che significa? Il motivo è dovuto al fatto che una fetta consistente di chi alle Europee ha votato Lega (il 22% dei leghisti) e M5s (il 32% dei pentastellati) ha optato per confermare il sindaco uscente anziché votare per i propri candidati ’di bandiera’, rispettivamente Bocci e De Blasi.
Alle comunali, cinque anni fa, il candidato del centrodestra Bocci si fermò al 24,79%, mentre quello del Movimento 5 stelle Roberto Blasi solo al 6,6%. Mentre il Partito democratico conquistò il 41,23% delle preferenze, la Lega il 14,44%. Forza Italia il 4,25%, subito sopra a Fratelli d’Italia (4,24%).
Oggi però i cruscotti statistici fotografano un altro scacchiere cittadino: l’acchiappavoti Nardella è fuori dai giochi, la gerarchia nella coalizione di centrodestra è trasmutata, e tra alleanze in trattativa e schieramenti in fase di assestamento, lo scenario si annuncia più contendibile del solito. Senza contare che nelle elezioni politiche nazionali del 25 settembre 2022 il Pd a Firenze incassò il 30% delle preferenze, circa un -7% rispetto alle politiche del 2018. Mentre Fratelli d’Italia, impalpabile nel 2018 con il 4% circa delle preferenze, nella tornata del 2022 sfiorò il 20%. La Lega di Salvini non andò oltre il 3,7% dei voti, Forza Italia il 3,5%. Insomma, il risultato di giugno, per come si sono messe le cose, sarà giocoforza l’ago della bilancia per il futuro dei partiti, a livello locale e nazionale.