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Cristina
Privitera
Ci piace pensare che Giorgio La Pira avesse questa stessa preoccupazione, quando ideò da visionario caparbio i Colloqui – tra religioni e tra culture diverse – nel nome della pace nel Mediterraneo negli anni Cinquanta del secolo scorso. La rinascita di quei dialoghi, con il ruolo centrale di Firenze nella battaglia per il dialogo, la fratellanza, condizioni di vita più eque per i popoli che vivono sulle sponde del nostro mare è ieri diventata una dichiarazione d’intenti e di diritti da difendere che porterà il nome della città. Poteva sembrare un’iniziativa astratta, destinata a rimanere inquadrata nella lunga serie di buoni propositi che spesso rischiano di non incidere nella vita reale, nelle decisioni che contano nello scacchiere geopolitico internazionale. Una goccia nel mare. Ma il caso ha voluto che in questi stessi giorni siamo tornati a vedere carri armati invasori e missili lanciati vigliaccamente sulle città e sulle persone inermi. A due passi da noi, in quell’Europa che spesso vanta a sproposito se stessa per una civiltà di pace duratura. E Firenze è così diventata ancora di più capitale di dialogo, dell’appello al confronto contro l’insensatezza dell’uso delle armi. Come restare indifferenti di fronte al messaggio video del sindaco di Kiev Vitalij Klitschko, risuonato con forza nel Salone de’ Cinquecento a Palazzo Vecchio: Quello che stiamo vivendo in queste ore è un incubo. Siamo un popolo e uno Stato pacifici, mai siamo stati aggressivi contro qualcuno, noi vogliamo la pace, ha detto rivolto agli oltre sessanta primi cittadini riuniti per il forum. Parole che sono un pugno nello stomaco e che reclamano una reazione, uno slancio di indignazione, una spinta a continuare ad agire contro ogni guerra. Una mobilitazione necessaria e probabilmente ancora più incisiva se – come nel caso delle giornate fiorentina – parte dal basso, da sindaci e vescovi, i rappresentanti più prossimi per rappresentanza a noi cittadini. In questo clima così preoccupante per i suoi sviluppi, in questi echi di bombardamenti e morti, le giornate lapiriane di Firenze assumono ancor più significato, perché ci dicono senza mezzi termini che è necessario continuare a battersi per la convivenza pacifica nel rispetto di tutte le diversità. Per non dimenticarci, come sostiene Camus, che è l’unica battaglia da combattere.