STEFANO CECCHI
Cronaca

Ma nuovo non è sinonimo di brutto

Stefano Cecchi

Perché lo fai, cantava anni fa un cantante fiorentino a Sanremo e il refrain viene spesso in mente ai fiorentini quando devono chiedersi la ratio di certe scelte della locale Soprintendenza. L’ultima arriva da Castello. Qui il Comune, nel tentativo di creare alternative serie alle fonti energetiche tradizionali, ha varato un piano che consente l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti in alcune aree della zona. Apriti cielo. "Così si rischia di sciupare la visione del panorama affacciandosi dalle ville Medicee di Castello e della Petraia", ha spiegato la soprintendente Antonella Ranaldi, esigendo che l’autorizzazione per l’installazione dei pannelli non passi solo dal controllo del Comune e dell’apposita commissione paesaggio, ma abbia bisogno anche del via libera della Soprintendenza. Un timbro in più di garanzia, insomma. Ora, per carità, tutelare il paesaggio è roba che ogni fiorentino ha nel cuore da sempre. Non fosse stato così dal 1500, oggi non avremmo quel capolavoro rinascimentale di città che richiama a sé milioni di turisti dal mondo. La tutela del bello non solo come elemento di orgoglio ma anche come volano di sviluppo. A volte, però, si ha come l’impressione che la burocrazia in questa tutela vada oltre, spinta più da una pressione che potremmo dire ideologica che non da una reale necessità di intervento. Dalle pensiline del tram che non si vogliono coperte per non guastare l’armonia dei viali, al nuovo stadio che di fatto nasce già vecchio per l’impossibilità di abbattere l’esistente, fino al fotovoltaico a singhiozzo di Castello, sono tanti gli interventi della Soprintendenza che, negli anni, hanno inciso sullo sviluppo della città. Non difendendo sempre la bellezza cittadina (se no perché è stato dato il via libera alla foresta orrenda di pali del tram in Piazza Stazione?) ma impedendo spesso di intercettare il Nuovo. Come se questo fosse per forza sfigurante. Come se ci fosse negli eletti pubblici una voglia unna e belluina di deturpazione e gli unici depositari del bello risiedessero in palazzo Pitti. Un errore culturale e politico, che ha prodotto negli anni un guerreggiare sottile fra Soprintendenza e Comune che tutto ha fatto tranne che il bene della città. Forse sarebbe l’ora di ripartire diversamente.