Firenze, 10 novembre 2024 – Don Facibeni aveva voluto l’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa “non come collegio, ma quale famiglia dei senza famiglia”. A raccogliere la sua eredità è arrivato don Corso Guicciardini, scomparso nel novembre del 2020 e sostituito nella presidenza dell’istituzione, fondata nel 1924, da don Vincenzo Russo. Oggi, cento anni dopo, è il momento di celebrare quella data, non come punto di arrivo, ma come base per un nuovo inizio. Dopo il convegno di sabato in Palazzo Vecchio, il ricordo si è spostato in un ambito più spirituale nella solenne concelebrazione, presieduta da monsignor Gherardo Gambelli, arcivescovo di Firenze, stamani alla Santissima Annunziata.
Prendendo spunto dall’atteggiamento degli scribi citati nel Vangelo, che si comportano bene ed evitano il male solo quando sono visti dagli altri, l’arcivescovo Gherardo ha rivolto l’attenzione nella sua omelia sulla figura del fondatore della Madonnina del Grappa: “Nella figura del Venerabile don Giulio Facibeni troviamo un modello di un uomo che seppe combattere questa schiavitù degli occhi lasciandosi guardare dal Signore. Salì sul Monte Grappa come assistente dei soldati e scese come padre dei loro orfani. Proprio su quel monte accompagnando i morenti seppe essere un riflesso della misericordia del Signore stesso, attraverso l’intercessione di Maria a cui volle dedicare la sua opera, di cui oggi celebriamo il centenario. Abbiamo tutti bisogno di metterci in ascolto della Parola di Dio, perché solo così noi possiamo intercettare lo sguardo di misericordia del Signore su di noi ed essere liberati dalla paura di non essere amati che ci conduce alla vanagloria. Papa Benedetto XVI diceva che: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. La fede apre sempre nuovi orizzonti nella nostra vita, perché il Signore è capace di realizzare cose nuove, facendo concorre tutto al bene, perfino il male e il nostro peccato quando abbiamo il coraggio di riconoscerlo e di affidarlo alla sua misericordia”.
La seconda immagine è quella delle due monete che la vedova getta nel tesoro del tempio. “È interessante osservare il fatto che sono due. – ha sottolinea monsignor Gambelli – La vedova avrebbe potuto dire: una per me e l’altra per il Signore. Compie invece un gesto di fiducia nella Provvidenza, come già la vedova di Sarepta di cui ci parla la prima lettura, che le permette di allargare gli spazi della sua interiorità. “Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio”, ci dice papa Francesco. Non conosciamo il seguito della storia della vedova del Vangelo di Marco, ma possiamo immaginare che non sia stato diverso da quello della donna di Sarepta che, proprio grazie al suo gesto coraggioso, riceve la grazia di conoscere intimamente Elia come un profeta, messaggero di Dio. La fede nella Provvidenza divina è stata vissuta profondamente da don Giulio Facibeni nel suo ministero. Raccogliere la sua eredità significa per noi aprire la mano per ricevere quelle due monete come l’albergatore della parabola del buon Samaritano, accogliendo l’invito di Gesù: “Va e anche tu fa lo stesso”. Aprendoci agli altri scopriamo che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e riceviamo in dono la lucidità nel discernimento per collaborare in modo più fecondo con la grazia di Dio alla realizzazione del suo Regno”.
La terza immagine è quella delle tasche degli scribi e della vedova. “Seduto di fronte al tesoro del tempio, Gesù dopo aver osservato come molti ricchi gettano molte monete e la vedova con le sue due monetine, invita a contemplare il diverso valore dei due gesti agli occhi di Dio. – ha proseguito l’arcivescovo – Potremmo tradurre più fedelmente il testo: “Tutti hanno gettato dal loro superfluo, lei invece dalla sua miseria vi ha gettato tutto quello che aveva, tutta intera la sua vita”. Don Facibeni è ricordato a Firenze da tutti con il nome di Padre, proprio perché seppe far spazio nel suo cuore all’amore paterno di Dio. Facendosi povero interiormente si lasciò arricchire dal Signore Gesù e questo lo rese capace di vivere una tenera paternità nei confronti dei suoi figli, preoccupandosi fino in fondo perché potessero inserirsi nella società in modo autonomo e dignitoso. Chiediamo, per sua intercessione, la grazia di diventare padri e madri come lui nel nostro tempo, così tristemente segnato da lotte e conflitti, spesso anche all’interno delle nostre case. Sapremo anche noi sviluppare i nuovi riflessi della fede per giungere a vincere il male con il bene? Una bella storia può aiutarci a riflettere. Due anziani monaci vivevano insieme senza mai litigare. Un giorno uno disse all'altro: «Tutti gli uomini litigano, facciamolo anche noi». L'altro rispose: «Non so come si fa a litigare». Il primo spiegò: «Si fa così. Mettiamo una brocca fra di noi poi io dico “È mia”, tu dici “No è mia”. “È così che comincia una lite”. I due anziani presero dunque una brocca e un anziano disse all'altro “È mia”. L'altro replicò “No, è mia”. “Va bene, se è tua, prendila pure”, concluse il primo e rientrarono nelle loro celle senza essere riusciti a litigare”.