L’azienda non deve complicare la conciliazione famiglia/lavoro, a maggior ragione nel caso di esigenze particolari. Altrimenti è a tutti gli effetti discriminazione. È con questo principio che la Corte d’Appello di Firenze, sezione Lavoro, ha accolto il ricorso che la consigliera di parità della Regione, Maria Grazia Maestrelli, ha fatto a nome di tre dipendenti di una società assicurativa e ha condannato la società ad accettare la richiesta di rimodulazione dell’orario. Le tre avevano chiesto di poter ridurre la propria pausa pranzo di un’ora così da uscire prima, chi per badare ai figli piccoli, chi ai genitori anziani. Richiesta negata. Dopo una sentenza di primo grado che dava ragione alla società, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione disponendo "la cessazione della condotta discriminatoria" e quindi obbligando di fatto la società ad assecondare le richieste di questo tipo, anche quelle future, oltre a imporle il pagamento di un risarcimento di 10mila euro nei confronti della consigliera. Soldi che - dice la consigliera - saranno messi a disposizione del budget istituzionale. "Sentenza importante - commenta Maestrelli - le donne lavoratrici sono meno sole. Mi auguro che possa fare da precedente".
CronacaMadri lavoratrici discriminate. C’è la condanna