Un precedente importante, destinato a cambiare le carte in tavola. La sezione Lavoro della Corte di Appello di Firenze, ribaltando la sentenza di primo grado, ha condannato per condotta discriminatoria una società assicurativa che aveva negato a tre dipendenti, madri di figli minori o con familiari bisognosi di assistenza, la riduzione della pausa pranzo al fine di consentire l’uscita anticipata dal luogo di lavoro.
Le tre lavoratrici, nello specifico, avevano chiesto di poter ridurre la propria pausa pranzo di un’ora – dalle 13 alle 13.30 anziché alle 14.30 – in modo da poter uscire un’ora prima – alle 17.30 invece che alle 18.30 – per motivi di cura familiare, chi per badare ai figli piccoli, chi ai genitori anziani. Di fronte al ‘no’ della società assicurativa si erano rivolte alla consigliera di parità della Regione Toscana Maria Grazia Maestrelli, che ha avviato un’azione legale a tutela delle tre dipendenti, assistita dalle avvocate Lisa Amoriello e Irene Romoli. Dopo una sentenza di primo grado che dava ragione alla società assicurativa, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione del tribunale del Lavoro riconoscendo “la legittimazione della consigliera ad agire in giudizio su azione collettiva relativamente a controversie riguardanti diritti e tutele delle lavoratrici connessi all'orario di lavoro e alle pause nel corso della prestazione oltre ad aver disposto in suo favore il risarcimento del danno in misura non trascurabile”.
La Corte – si legge nella sentenza – dispone “la cessazione della condotta discriminatoria nei confronti delle dipendenti che siano madri di figli minori o con familiari bisognosi di assistenza, relativa alla imposizione uniforme a tutti i dipendenti della pausa pranzo dalle 13 alle 14, nei giorni dal lunedì al giovedì, con conseguente uscita alle 18:30”. Richiesta che, così facendo, potranno fare anche altre dipendenti nella medesima situazione e quindi con le stesse esigenze.
La società dovrà inoltre pagare un risarcimento di 10mila euro alla Consigliera di parità, oltre alle spese legali di entrambi i gradi.
“Oltre alla grande soddisfazione di vedere accolta nel merito l’istanza e in attesa delle motivazioni, la sentenza ci pone di fronte a un fatto nuovo: le donne lavoratrici sono meno sole avendo al loro fianco figure istituzionali e strumenti ulteriori per far valere i propri diritti – ha commentato la consigliera – Questa decisione ha un grande significato, perché – spiega Maestrelli - il riconoscimento della legittimazione delle consigliere di parità ad agire, assieme alla condanna della società al risarcimento del danno, dà più forza alle tutele delle donne lavoratrici, a partire dalla conciliazione dei tempi vita-lavoro. Mi auguro che la sentenza possa fare da precedente e costituisca la base di un futuro indirizzo consolidato”. Maestrelli fa sapere che i soldi del risarcimento del danno saranno messi a disposizione del budget istituzionale di funzionamento della consigliera di parità.