di Andrea Spinelli
Proprio domani Fiorella Mannoia annuncia il titolo del suo nuovo album, il ventesimo di una discografia varata più di cinquant’anni fa da ’Mannoia, Foresi & Co.’, in uscita il 29 novembre. Anche se è improbabile che ne offra assaggi, oltre alle già note ’Mariposa’ e ’Disobbedire’, nei concerti con orchestra sinfonica che la riportano al Verdi per due notti, il 15 e 16 novembre (ore 20,45), e a quello di Montecatini il 19 dicembre. "I teatri pieni continuano a rappresentare la mia libertà" racconta lei, che ha appena devoluto ad Emergency e Medici Senza Frontiere i 300mila euro raccolti dal concerto per la pace messo in piedi il mese scorso al Forum di Assago con Piero Pelù, Emma, Elisa Elodie e diversi altri colleghi. "Se la gente viene a vederti significa che il tuo è un pensiero è condiviso".
Il nuovo album chiude un 2024 cominciato sul palco del Festival di Sanremo con ’Mariposa’.
"L’idea di quel brano è scaturita dalla visione di una serie tv sulle sorelle dominicane Mirabal, che pagarono con la vita la loro opposizione alla dittatura, ma anche conseguente all’attività esercitata in questi ultimi anni dalla Fondazione Una Nessuna Centomila a sostegno delle donne in difficoltà. ‘Mariposa’, infatti, è la sublimazione del femminile nel bene e nel male, una canzone per dire quello che siamo e che siamo state nella storia dalla notte dei tempi; dalla strega in cima al rogo alle donne combattenti".
Wikipedia dice: Fiorella Mannoia, cantante e attrice italiana. Eppure, lei di testi ne ha scritti diversi. Che effetto le fa vedere tante giovani protagoniste della musica italiana appuntarsi sul petto la medaglietta di cantautrice?
"Ho sempre rivendicato il mio ruolo d’interprete con orgoglio, perché è un po’ come quello del traduttore, che si prende la grossa responsabilità di adattare il testo originale cercando di tradirlo il meno possibile. Basta pensare a Cesare Pavese negli anni Trenta con ‘Moby Dick’ di Melville. L’interprete riesce bene nel suo lavoro quando riesce a far scoprire all’ascoltatore sfumature del testo che magari non aveva colto, a farlo emozionare per alcune parole che magari in bocca a qualcun altro suonano in modo meno evocativo che nella sua. E quando firmo il testo di una mia canzone, se qualcuno mi si vuol chiamare cantautrice va bene, se no cantante va bene lo stesso".
Il successo è responsabilità. A suo avviso, la pensano così pure gli artisti della Gen Z?
"Sì, ma quelli della mia sono più abituati all’idea perché cresciuti con la cultura che l’arte è politica. E se questo pensiero d’appartenenza non è così forte nei ragazzi la responsabilità è pure nostra, che non siamo stati capaci di coinvolgerli nella cosa pubblica come avremmo dovuto. Parlo in generale, ovviamente, perché di eccezioni grazie al cielo ce ne sono diverse e importanti. Per questo invito tutti ad informarsi, a porsi delle domande, a dubitare, a chiedere".
Sull’ambiente, però, c’è una sensibilità forte.
"Grazie anche a riferimenti come Greta Thunberg, fra i giovani di ambiente si parla tantissimo. Anche perché gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti. Di guerra, invece, si parla poco. E con grande confusione. Ecco perché è importante che pure gli artisti facciano sentire la propria voce, come abbiamo provato a fare noi due settimane fa al Forum di Assago per raccogliere fondi da destinare alle attività di Emergency e Medici Senza Frontiere. Giusta o sbagliata che sia, la mobilitazione di tanti ragazzi sulla Palestina dimostra però che, almeno quella, la sentono come un’ingiustizia".
In 36 anni le è mai capitato di non cantare ad un concerto ‘Quello che le donne non dicono’?
"Mai. Anche se i cantanti per le loro canzoni più famose nutrono un misto di amore ed odio, perché a forza di cantarle talune possono anche stancare un po’, quando vedo la gente felice di farlo con me a squarciagola mi chiedo: perché togliergli questa soddisfazione? D’altronde capita pure a me, quando vado a vedere i concerti dei colleghi, di aspettare una certa canzone pensando: eddai, che ti costa cantarmela… Da spettatrice dico che uno come Vasco, ad esempio, non può non cantare Vita Spericolata. Sarebbe una cattiveria".