STEFANO CECCHI
Cronaca

Marco Stella: "Ho un tumore e non mi vergogno a farlo sapere. Ecco perché"

Toscana, intervista esclusiva al vicepresidente del consiglio regionale dopo la rivelazione su Facebook della malattia che lo ha colpito

Marco Stella (foto NewPressPhoto)

Firenze, 27 ottobre 2018 - «Un tumore sì, ho un tumore al sangue. E non lo tengo segreto perché sono convinto che esiste una parte psicologica della malattia che è importante per vivere meglio le terapie. Vede: il tumore ci vorrebbe soli, isolati, deboli e sconsolati. Io, invece, non mi nasconderò mai, non rimarrò mai chiuso in casa, non mi farò portare lontano dai miei affetti».

Marco Stella ha 47 anni. Forzitalista della prima ora, è stato a lungo consigliere comunale a Firenze prima di approdare in Regione, dove adesso è vicepresidente del consiglio. L’altro ieri ha fatto un gesto dirompente, insolito per chiunque e ancora di più per un politico: è andato su internet e, a tutti, ha rivelato di avere un tumore.

Per l’esattezza un linfoma di Hodgkin: «Oggi sono alla sesta chemioterapia, ne devo fare dodici, siamo alla metà esatta!!!», ha scritto raccogliendo l’affetto e la solidarietà di mezza Firenze. Perché il suo non è stato il grido disperato di chi cerca commiserazione, piuttosto la denuncia coraggiosa di chi indica agli altri malati di non vergognarsi per la malattia, ma di affrontarla a testa alta «non rinunciando mai all’amore, al sorriso, ad un abbraccio, ad una carezza. E a farlo oggi perché non sappiamo cosa ci riserverà domani». La malattia, dunque. Tutto è cominciato lo scorso luglio. «Una visita dal medico. Fu lui a suggerirmi il ricovero in ospedale per accertamenti». 

Fin lì nessun sintomo? «No, solo un po’ di prurito ai piedi durante la notte. Pensi un po’...».

Dunque il ricovero in ospedale... «Alla fine arriva il medico e mi dice: “Ho una notizia buona e una brutta“. “Comincia dalla brutta“. “Hai un tumore“. “Beh, ora mi rimane difficile vedere la bella“. “E’ un linfoma di Hodgkin, un un tumore al sangue da quale all’80% si guarisce“».

So che la domanda è banale, ma cosa si prova in quel momento? «Si ha la percezione reale che tutto può finire. Che davvero da un momento all’altro puoi non vedere più tuo figlio, tua moglie, i tuoi genitori. Vedi solo il negativo. Poi...».

Poi? «A me è successo di voler ripartire da subito. Sono uscito dall’ospedale e già avevo in testa il percorso da fare. Così ho parlato con mia moglie: “E’ tutto a posto, si guarisce“». 

Il tumore cambia il rapporto con le persone vicine? «Molto. Riscopri cose che hai tralasciato. Il rapporto con i genitori, per esempio, che tornano ad essere il tuo supereroe e la coperta di Linus di quando eri bambino».

Li frequenta diversamente? «Eccome. Riscopri le passioni che ti avevano trasmesso. Mio padre tutte le mattine ora corre con me mentre mia madre mi accompagna a fare la spesa».

Un gusto diverso nel fare le cose di sempre... «Torni ad assaporare le cose anche banali: un tempo da Palazzo Vecchio alla Regione in via Cavour correvo. Oggi alzo la testa e mi godo la meraviglia di Firenze».

Il piacere della piccola quotidianità senza fretta.... «Sì, io ho trovato un nuovo amico, il tempo. Io sono sempre stato atemporale, oggi passo il tempo a contare il tempo. Il regalo più grande che puoi fare ad una persona a cui vuoi bene è il tuo tempo».

E per questa nuova consapevolezza che ha deciso di rendere pubblica la sua malattia? «Certo, perché la malattia non è una tua colpa e non c’è niente di cui vergognarsi. Anzi. E’ la malattia che vuol farti nascondere. Più ti isoli in te stesso, più il tumore è contento»

E lei al contrario... «Io, al contrario, glielo dico a voce alta: sei dentro di me solo per una parentesi di di tempo, io voglio che tu vada via».

Non teme così di essere commiserato?  «Se lo racconti bene, perché mai dovrebbero commiserarti?».

Nadia Toffa tempo fa arrivò a dire addirittura che il cancro è un dono...  «E ha sbagliato. Il tumore, anche se può farti scoprire una parte bella di te, non ha proprio niente di bello. E’ tutto fuorché un dono».

Lei la pensa in maniera completamente diversa... «La Toffa ha sbagliato a non portare rispetto alle persone che combattono, perché non è detto che la tua voglia di vincere sia superiore alla forza del male che hai dentro. Ci vuole rispetto per chi combatte e ha la stessa voglia di vivere di chi invece non ce la fa».

Il rispetto anche per la paura del male... «Soprattutto. Non occorre rispetto per la parola tumore ma serve rispetto per chi combatte, per chi non vuole mollare, per chi ama la vita come se stesso, per chi le prova tutte, perché questa è una malattia dove veramente le provi tutte».

Lei dunque comprende chi, nell’utopia di guarire, cerca altre strade rispetto alla medicina? «Il tumore ti porta a provare di tutto. Prima non capivo chi si avventurava fuori dalla medicina. Oggi li comprendo. Perché può capitare che la disperazione diventi più forte della speranza».

Lei è cattolico. La malattia ha cambiato il suo rapporto con Dio? «Penso di no. Ma quando frequenti certe stanze d’ospedale, quando sei sul lettino a fare la chemio, anche chi come me crede in Dio si chiede: perché tutta questa sofferenza? Perchè?».

La malattia ha cambiato anche il suo punto di vista sulla politica? «Vede, la politica per me è passione vera. Dunque niente può sminuirla. Cambia, questo sì, il rapporto con i politici».

In che senso? «Nel senso che ti rendi conto dell’inutilità di molte discussioni, le soluzioni che non arrivano mai, la perdita di tempo di molti dibattiti che non hanno nessun valore tranne che per noi politici».

Qual è la cosa che fino a oggi le ha dato più dolore? «Non poter stringere al petto mio figlio a causa del port che serve per la chemio».

Eppure lei apparentemente non dà un’impressione di debolezza ma di forza... «Sa che ho trovato forze nei posti più impensabili? Negli sguardi che ti rassicurano, negli abbracci più teneri. Nella malattia poi ho trovato medici ed infermieri di una professionalità incredibile e di una umanità rassicurante, sempre un sorriso, sempre una parola gentile».

Stella, sa che leggendo questa intervista qualcuno, probabilmente del suo stesso ambiente politico, la criticherà... «L’ho messo nel conto. Pazienza. Ma sono convinto che chi ha provato un’esperienza come la mia non lo penserà certo. In me oggi questo prevale: la speranza che la gente colpita da tumore capisca che non ha proprio niente di cui vergognarsi e che racconti ciò che ha dentro, in modo che possa servire a loro com’è servito a me. Magari anche a riscoprire un rapporto migliore con noi stessi».