
Mario e Carlo Gli ultimi civaioli "Noi sopravvissuti a guerra e Arno"
di Carlo Casini
Sono due gavinanini doc di 78 e 85 anni e ancora continuano a lavorare nella bottega di famiglia, che a Gavinana è ancora più antica di loro: sono i fratelli Mario e Carlo Mazzini, della Mazzini Smeraldo Snc, più conosciuti come i civaioli di viale Giannotti. Civaiolo, quel termine tutto fiorentino che i giovani neanche conoscono più. E a spiegarcelo è proprio mario:
"Il civaiolo è un negozio di cibaie, mangime per animali da fattoria, ma anche legumi secchi cereali e altro, una piccola agraria. Diamo da mangiare agli animali e... anche ai padroni! ora però i tempi sono cambiati, vendiamo soprattutto cibo per animali domestici. Molti nostri clienti sono persone anziane che sono rimaste sole per cui i loro cani e gatti gli fanno tanta compagnia, li trattano come un figliolo, gli vogliono un bene spassionato; e poi in pensione gli stipendi sono più sicuri, oggi i giovani ci pensano due volte prima di prendere un animale, perché non tutti hanno un lavoro stabile. Qui rispetto a un supermercato innanzitutto trovano il contatto umano, poi l’epserienza: sifanno consigliare se hanno dei problemi di salute, noi vendiamo diete apposite per correggere l’alimentazione".
"Il negozio lo aprì mio padre nel 1935, dopodiché, con l’alluvione nel ’67 lui si ritirò e si fece la società noi fratelli. Ma in realtà lavoravamo già qui da un bel pezzo"
"Facevo le elementari, appoggiavo la cartella e venivo qui a servire" dice Mario. "Tutti e due si fece anche le medie – prende la parola Carlo – Nel 1950 venivo già ad aiutare il babbo, avevo dodici anni".
Ma Carlo ha ricordo ancora più vecchi, dei periodi più bui: "Nel ’45 avevo 7 anni, la guerra me la ricordo benissimo, ma essendo bambini si prendeva non dico come un gioco ma quasi come un’avventura. Si attraversava la strada di corsa perché si aveva paura sparassero dai palazzi. Mi ricordo siamo sfollati per un periodo, si conosceva qualcuno in campagna che era meno della città; un periodo siamo stati chiusi in una cantina, perché c’erano i bombardamenti, tutto il condomimio con i materassi in terra. In quei tempi mio babbo vendeva solo varichina sfusa: la faceva da sé aveva delle grosse conche metteva l’acqua e l’ipoclorito di sodio sciolto le persone venivano con un bricco a prendere un litro per disinfettare le casa per paura delle epidemie; perché la guerra era tremenda anche quello. Era l’unica cosa che era possibile vendere perché non c’era il mercato nero degli altri prodotti".
Peggio della guerra fu l’alluvione: "Nel ‘66 l’appartamento sopra qui al negozio aveva 30 centimetri d’acqua in casa, oltre al soffitto nostro, 4 metri e 70... la cantina se la immagina? Si butto via tutto e si ripartì, ci si rimboccò le maniche, facendo tanti debiti che grazie a Dio si sono poi saldati, il lavoro c’era – ricorda Mario – L’alluvione ci aiutò a rifraternizzare tutti, dopodiché ognuno riprese il suo egosimo e se lo portò a casa. Una volta c’erano dei rapporti più umani, ci volevamo più bene: ora c’è il computer, tutti hanno fretta, ognuno pensa al suo e non ci si conosce più. Ma prima Gavinana era come un paesino, dove ci si conosceva tutti e ci si voleva tutti bene".
"C’erano le cene in piazza, che belle erano, ora non si fanno più", interviene Carlo. "Un consiglio ai giovani gavinanini: vogliamoci un po’ più di bene – dicono i due fratelli – C’è una gioventù molto bella oggi, i giovani hanno delle idee sane, certo ci sono piccole eccezioni".
"Siamo contenti di essere nati e vissuti a Gavinana, non ci sposteremo mai da questo quartiere". Ma c’è una sola preoccupazione: "Abbiamo superato la guerra e l’alluvione, speriamo di non dover chiudere per i lavori della tramvia".