"Mi sono sempre voluto bene". Quella del Masini di oggi forse è una carezza al Marco che fu, a quel ragazzo che digrignava i denti e poi – con quella voce là, ruvida, graffiata, dolcissima – faceva esplodere al microfono tutta la rabbia di chi si chiude a riccio perché lì fuori non è capito.
Masini se potesse telefonare a quel ragazzo del 1993 che gli direbbe?
"Forse cercherei di perdere il gettone...".
Perché?
"Perché credo che nella vita non si debbano dare consigli a chi sa già dov’è. Ogni percorso è giusto. Non va cambiato. Ho passato momenti bruttissimi per poi ritrovarmi. Così come ho attraversato fasi bellissime. Tutto serve".
A imparare?
"Certo. Senza gli sbagli, senza le porte sbattute in faccia non si impara. Se dovessi telefonare al Marco del passato non gli vieterei neanche di andare a comprare le sigarette, guardi".
Un nuovo album, ’10 amori’. Qual è il più importante?
"Quello per me stesso. Ho sempre dato grande importanza a quello che è l’affetto per la nostra vita. E sa perché?"
Sono tutto orecchi
"Perché se abbiamo un nemico dentro di noi poi siamo fuorvianti nel comunicare con gli altri. Quando stiamo bene possiamo trasmettere serenità".
Il suo secondo tempo iniziò con la vittoria a Sanremo nel 2004?
"Era un momento in cui mi ero appunto ritrovato e infatti con L’uomo volante’, che scrissi con Giuseppe Dati e Goffredo Orlandi, arrivai al cuore della gente".
A chi parla il suo ultimo album?
"Sono storie di tutti. Noi artisti facciamo questo: troviamo le storie delle persone e ci immediesimiamo. Le condiamo con il sound, il linguaggio. La parola cantautore ha una radice antica, viene da cantastorie".
Il più grande in Italia?
"Beh, Guccini, De Andrè. Ma io metto avanti a tutti De Gregori".
Perché?
"Gli altri mettono la melodia dietro al linguaggio che, per carità, nel loro caso, è strepitoso. De Gregori invece ha grandi testi e grandi melodie. Anche se il Nobel lo darei a Mogol e Battisti".
Una sua canzone, Leggero, che ha un testo bellissimo, forse ricorda un po’ De Gregori.
"No, non direi. Forse più il Conte Mascetti di Amici Miei".
Questa è bella.
"Sì, perché è la storia di un sessantenne solo che parte verso il mare con una musica di speranza in auto e poi torna indietro non riuscendo a cambiare niente. Ecco è un po’ come quando il Mascetti fa un discorsone alla Titti per lasciarla e lei gli dice ’Addio merdaiolo, ci si vede domani al solito posto a mezzogiorno!’ E lui ’No alla mezza, a mezzogiorno c’ho un pignoramento’. Non cambia nulla".
Cita il Mascetti e allora io le chiedo di Firenze. Com’era quella della sua gioventù?
"C’era una fiorentinità più sciolta. Una città di grandi sogni che però temo non abbia mai fatto il salto di qualità per diventare importante quanto merita a livello europeo. Milano per esempio lo ha fatto. Anche Firenze è cambiata, anche lei è nel 2024. Ma ha la testa di allora".
E perché secondo lei?
"Forse per una mentalità troppo schiava di certa burocrazia".
Vede in giro un nuovo Masini?
"Mi piace molto Ultimo, il suo stile di scrittura. Beh, non è certo Lazza che può assomigliarmi. Tutto un altro genere".
Qual è la canzone più bella della storia per lei?
"Difficilissimo. Posso dire ’Hey Jude’ dei Beatles. In Italia ’Mi ritorni in mente’ di Lucio Battisti: ha una melodia incredibile, è semplice ma con una perfezione armonica. E poi ’Ti amo’ di Tozzi, un capolavoro dalla prima strofa. Quella canzone è il frutto della genialità di Umberto e di Giancarlo Bigazzi, a oggi ancora il numero uno in Italia".
E il suo brano più bello? So che è difficile perché ogni canzone è figlia di un periodo.
"Si è dato la risposta da solo. Ora forse direi ’Caro babbo’, siccome mio padre è morto da poco per me ha assunto un significato ancora più intenso".
Nei suoi primi testi c’erano sentimenti di ribellione alla famiglia. Tutto pacificato?
"Ebbi il grande dolore della perdita di mia madre a 19 anni. Il babbo allora voleva decidere tutto, faceva il play, la mezz’ala. Io pensavo solo alla musica, uscivo, gli dicevo che andavo a studiare. E invece suonavo. Poi ci siamo capiti. Prima che se ne andasse qualche anno fa gli ho detto un’altra bugia. Ma è stata la più bella della mia vita".
Racconti.
"Stava ormai molto male, il giorno prima di morire si svegliò di soprassalto e mi chiese: ’Marco, che ha fatto la Fiorentina?’. Era confuso, la partita non si era ancora giocato, ma io gli dissi lo stesso: "Oh babbo, s’è vinto tre a zero con la Juve...". Fu felice. Poi la Fiorentina vinse davvero a Torino, tre a zero. Mi commuovo oggi a ripensarci".