TITTI GIULIANI FOTI
Cronaca

Massimo Ranieri, il mio Metello Cinquant’anni di un film-culto

L’artista ricorda l’incontro con Vasco Pratolini: "Un omino piccolo, osservatore e silenzioso" "Uomini così idealisti non esistono più: il personaggio mi ha sempre ricordato mio padre"

di Titti Giuliani Foti

"Ho ancora in bocca il gusto della ribollita e di quella bistecca squisita, All’epoca non si mangiava tanto. E non erano tempi come quelli di oggi: poter assaporare squisitezze durante le pause del film al ristorante pareva un sogno". Massimo Ranieri, vuole ricordare i primi cinquant’anni di un film che ha fatto la storia del cinema neorealista: Metello di Mauro Bolognini, datato 1970, dal libro di Vasco Pratolini e con le musiche di Ennio Morricone.

Massimo, la prima cosa che le viene in mente di Metello?

"Aver avuto il privilergio di conoscere Vasco Pratolini, lo ricordo come se fosse ora. Era un uomo piccolo di statura, che stava lì a guardare in silenzio le riprese. Non diceva niente. Non brontolava e non sorrideva. Guardava. E stava fermo quasi in un angolo, pensavo che non volesse disturbare".

Massimo, a Firenze e sul set di un film così importane alla tenera età di 18 anni, nel suo primo ruolo da vero attore.

"Sì è così: mi commuove pensare, ricordare quei giorni e questo gigante della letteratura italiana, la cui presenza ha coinciso con molti cambiamenti della mia vita. Primo fra tutti, l’avvio al cinema. Era un periodo strano, allora avevo in testa solo “Rose rosse”, il mio disco di successo di quel momento e, diciamo la verità, la letteratura per me non esisteva. Ma il ruolo di Metello me lo sentii subito addosso".

E perchè secondo lei?

"Forse perchè magari ci fossero ancora uomini come Metello oggi. Uomini spinti dalla forza dell’ideologia: era intelligente e nello stesso tempo con un istinto che porta alla giustizia. Se ripenso a Metello so dal più profondo che l’ho sentito mio perchè mi ricordava mio padre, un operaio che lottava e lottava per il socialismo, per l’deologia del lavoro. Se mi ci fai pensare ti dico che Pratolini per me in qualche modo è mio padre, perchè faceva parte di quella genìa lì. Uomini che non esistono più".

Come ebbe il ruolo?

"C’era Bolognini che cercava un ragazzino un po’ scugnizzo e ribelle e mi propose di farlo. Al mio fianco scelse la bellissima Ottavia Piccolo che per la sua interpretazone vinse anche un premio. Quando Bolognini mi comunicò che Metello sarei stato io, rimasi un po’ così. E’ che avevo 18 anni e che i mei studi non erano esattamente classici".

Ricorda una sensazione?

"L’imbarazzo di non conoscere Pratolini e la voglia di studiarlo per sentirmi all’altezza degli altri, e sapere tutto di lui. Ancora oggi sono molto grato e legato a Metello, mi capita di pensarci con amore. E tra le tante cose belle che mi ha lasciato, anche avermi fatto conoscere una città meravigliosa. Dopo quel film mi sono sentito sempre un po’ fiorentino: come adesso".