"A distanza di un secolo è un libro che fa ancora paura. Ma è solo con la conoscenza che si può evitare la ripetizione della catastrofe". E’ il pensiero di Stefano Massini, drammaturgo e attore, che arriva nella sua Firenze per portare in scena il testo ‘proibito’ da cui è partita l’ascesa di Adolf Hitler, da underdog a dittatore: il Mein Kampf.
Torna alla Pergola con uno spettacolo impegnativo…
"Sì, impegnativo è la parola giusta. Ho sempre pensato che il teatro debba smuovere le anime e il cervello, far sobbalzare lo spettatore dalla poltroncina. Anche irritare, creare una discussione. E questo spettacolo è così. Per quanto riguarda la Pergola, quel teatro è casa, è la mia giovinezza. Lì ho imparato tanto. Quando andavo al liceo, mio padre per il compleanno mi regalava sempre l’abbonamento alla Pergola e adesso, tutte le volte che ci ritorno, dal palco guardo in alto verso la galleria, cerco con lo sguardo il posto dove sedevo da ragazzo".
Ha definito questo progetto come “un esperimento politico teatrale…”
"Quando si parla di politica si pensa subito che si faccia propaganda in teatro, ma non è questo il punto. Non c’è un segno politico in questo spettacolo, non si vedono neanche baffetti o capigliature hitleriane, divise o filmati d’epoca. Sono solo sul palco con una grande pagina bianca retroilluminata, metafora del deserto morale in cui queste idee si diffondono. Mi faccio portavoce di un testo torrenziale, dal ritmo incalzante e dalla potenza nervosa, che esplora il profondo abisso della storia, il tumulto dell’animo umano e il potere inarrestabile delle parole".
Il libro ‘maledetto’ ha cent’anni ma è molto attuale…
"E tanti, troppi, ancora oggi non lo conoscono. Nell’autunno 1924 Hitler dal carcere dettò la sua biografia. Ci si aspetta un libro politico come un manifesto o un trattato. E, invece, è la storia di un ragazzo di trent’anni, scritta come un romanzo di iniziazione: uno degli strumenti più antichi della storia della letteratura: nel ‘Mein Kampf’ Hitler racconta in che modo lui diventò un politico vero, un trascinatore di folle".
Come ha trascinato le folle, partendo dalla Germania, una terra tra le più acculturate...
"Per troppo tempo, anche con la censura del testo, è passato il messaggio che Hitler fosse un entità demoniaca, quasi un marziano. Invece era un uomo in carne e ossa che affascinava e intrigava evocando una parte che tutti abbiamo. Sigmund Freud, rispondendo ad Albert Einstein, disse che c’è un Hitler in ognuno di noi".
Quanto è importante divulgare quel periodo storico e quel personaggio?
"E’ di vitale importanza. E’ un dovere conoscere quel testo, solo così si può riconoscere coloro che oggi utilizzano ancora quelle forme e quei ‘trucchi’ per catalizzare lo folli. Hitler è stato il primo a portare avanti la politica fatta solo di slogan".
Tra i testi che ha portato in scena, questo è il più difficile?
"Direi piuttosto che è la cosa più kamikaze che ho fatto: otto anni di scrittura e nove mesi di prove. Ho curato nei minimi dettagli tutto il progetto che comprende anche un talk con il pubblico: il 17 novembre insieme a Corrado Formigli dialogheremo con i fiorentini sull’eredità di Hitler cento anni dopo. Perché il teatro non è un luogo astratto ma ben radicato nella società".