Firenze, 3 dicembre 2024 – Ha tenuto la televisione sintonizzata sulla partita Fiorentina-Inter fino all’ultimo. Fino a quando la voce spaurita del telecronista ha fornito i primi aggiornamenti sulle condizioni di Edoardo Bove. “Ho pregato per lui”, confessa Sandro Giani, papà di Mattia, il numero 7 del Castelfiorentino morto lo scorso 14 aprile a 26 anni dopo aver accusato un malore durante una partita di Eccellenza con il Lanciotto, a Campi Bisenzio. “Ho pregato con tutte le mie forze - ripete -, anche per i genitori, perché so cosa hanno dovuto affrontare in quei momenti”.
La voce di Sandro si rompe, i silenzi sono scanditi da sospiri pesanti. La mente vola a quella maledetta domenica pomeriggio, quando Mattia, dopo alcuni passi barcollanti, si è accasciato, inerme, sul terreno di gioco. Proprio come Edoardo. Ma con un epilogo tragicamente differente. “Mattia, come Bove, si è accasciato al 17esimo del primo tempo - aggiunge Giani -, e nella stessa porzione di campo. Non ci volevo credere, ho rivissuto per un momento quell’incubo”.
Con il dolore papà Sandro combatte purtroppo tutti i giorni. Ci convive, perché non può fare altrimenti. E nessuno gli toglie dalla testa che per evitare, o almeno tentare di farlo, altre tragedia sui rettangoli verdi, il movimento del cosiddetto calcio minore ha bisogno di una rivoluzione dal basso.
“I giocatori, l’allenatore e lo staff, e tutti coloro che prendono parte ’attivamente’ a una partita di dilettanti – spiega Giani – dovrebbero essere formati con un corso sul primo soccorso, perché può veramente essere fondamentale”. Essere preparati “a ogni tipo di evento straordinario deve essere un dovere delle società e dei suoi membri”, aggiunge.
Dopo il caso di Mattia, in estate le regole nel campionato di Eccellenza sono cambiate: senza medico o ambulanza a bordo campo la partita non verrà disputata e la squadra ospitante verrà punita con la sconfitta a tavolino. “È un passo avanti – commenta ancora Sandro –, so che forse non è possibile coprire tutti i campi con un mezzo del 118, ma un presidio medico ci deve comunque essere”. E tutto ciò, infine, non “deve essere un punto di arrivo, perché c’è da fare ancora tanto, oggi più di ieri”, conclude Giani.