FIRENZE
Mattia Di Teodoro poteva essere fermato prima di uccidere l’ex moglie Michela Noli e con il medesimo coltello togliersi la vita? Chi era venuto a conoscenza dei suoi problemi o aveva appreso dei suoi propositi, doveva denunciare il pericolo?
Per Paola Alberti e il marito Massimo, i genitori della hostess uccisa, il 15 maggio 2016 è cominciata una battaglia civile per cambiare la legge o almeno la sensibilità . "Il nostro intento - dicono - è quello di far capire come possa essere accaduto e come si possa prevenire ed evitare che fatti come questo non succedano più". Né Michela né la sua famiglia avevano mai saputo che l’ex marito soffriva di disturbo bipolare "per il quale era stato in cura fino all’età di 21 anni, e che fino a quella sera la malattia era stata tenuta gelosamente nascosta".
Leggendo i verbali dell’inchiesta, conclusasi con un’archiviazione, la famiglia ha appreso che Di Teodoro aveva anticipato ai genitori e anche agli amici "quali erano le proprie intenzioni e come avrebbe messo in opera il suo progetto criminale, spiegandolo nei minimi particolari". Anche il neuropsicolgo e la psicoterapeuta che lo avevano in cura, hanno riferito ai pm di sapere della malattia per la quale Di Teodoro era stato in cura dai 16 ai 21 anni, "ma hanno ritenuto opportuno non infrangere il segreto professionale". Così, Michela salì nell’auto dell’ex senza intuire il pericolo.
"Noi pensiamo che sarebbe davvero stato sufficiente inviare anche solo un messaggio a noi o a nostra figlia per evitare questa tragedia - ribadiscono i genitori -. Lei non sarebbe scesa quella sera per prendere la valigia che si è rivelato un tranello per farla salire in macchina. La domanda che ci poniamo è se avremmo potuto prevenire fatti di questo tipo e, secondo noi, la risposta è nell’attivazione di due procedure: chi viene a conoscenza dell’intento altrui di commettere un reato di violenza e abbia la consapevolezza che la persona sia realmente in grado di mettere in pratica quanto afferma deve denunciare. Se non lo fa, può anche essere incriminato per omissione di “soccorso”". Poi, secondo i Noli, serve "un protocollo specifico al quale deve attenersi psicoterapeuta e neuropsicologo o, più genericamente, i medici professionisti che hanno in cura il paziente bipolare, che preveda non solo la possibilità ma l’obbligo di rompere il segreto professionale. Pensiamo che, almeno nei casi simili al nostro, si possa fare opera di prevenzione e salvare la vita delle persone. Il nostro intento è quello di sensibilizzare chi ritenga opportuno fare propria questa mozione nell’interesse sociale per risolvere questo grave problema civile".
ste.bro.