Firenze, 22 luglio 2022 - Le piante sottoposte al contatto con le microplastiche crescono meno e cambiano la struttura e diventano potenzialmente tossiche. E a rischiare insieme ai vegetali, è l’intero ecosistema, uomo compreso. È il preoccupante che emerge da uno studio dell’Università di Firenze pubblicato dalla rivista internazionale Journal of Hazardous Materials
La ricerca, coordinata da Ilaria Colzi, Cristina Gonnelli e Alessio Papini del Dipartimento di Biologia e svolto in collaborazione con Sandra Ristori del Dipartimento di Chimica a preso in esame piante del genere Tillandsia, molto utilizzate per il biomonitoraggio e lo studio dell'inquinamento atmosferico.
L'esperimento
“Abbiamo somministrato alle piante, per via aerea, diverse tipologie di microplastiche - illustra Colzi - impiegando dei box appositamente progettati e ideati, dotati di un sistema di ricircolo dell'aria in modo da tenere sempre sospese le particelle”. Questo perché le piante, per la loro conformazione, sono particolarmente soggette al depositarsi di particelle presenti dell’inquinamento atmosferico: “Le foglie delle piante sono uno dei principali bersagli dell'inquinamento atmosferico e le loro superfici ampie e irregolari hanno un ruolo chiave nell'intercettare una grande porzione di particelle sospese nell'aria e, tra queste, le microplastiche - spiegano i quattro scienziati fiorentini - Inoltre, comprendere quali sono gli effetti di questi inquinanti sulle foglie delle piante, ha importanti implicazioni per una valutazione del rischio che tali materiali possono portare alla sicurezza del nostro ecosistema”.
Così, spiega la dottoressa Colzi, “sono state utilizzate quattro differenti plastiche selezionate tra quelle che si ritrovano più frequentemente in atmosfera, cioè policarbonato (PC) polietilene (PE), polivinilcloruro (PVC) e polietilentereftalato (PET). Un ulteriore aspetto innovativo del lavoro è stato quello di testare delle microplastiche sottoposte ad un invecchiamento accelerato attraverso irradiazione con raggi UV ed esposizione a calore, in modo da simulare alcuni dei processi a cui tali particelle vanno incontro una volta introdotte nell'atmosfera. Lo scopo è stato quello di verificare se, con la loro permanenza nell'ambiente, le microplastiche possono cambiare la loro potenziale tossicità”.
I risultati della ricerca
Ne è emersa marcata riduzione della crescita delle piante, differente a seconda del tipo di polimero e dell'invecchiamento. Il PVC è risultato il più tossico nel suo stato originario, mentre il PC è più tossico dopo il processo di invecchiamento accelerato.
«Questo - aggiunge Colzi - implica che la permanenza delle microplastiche nell'ambiente può diminuire o aumentare la tossicità delle particelle e quindi il loro impatto sulle piante. Oltre a una riduzione della crescita, le microplastiche hanno causato un'alterazione generale dello stato fisiologico delle piante, con una riduzione dell'efficienza fotosintetica e cambiamenti nel contenuto di micro e macro-nutrienti nei tessuti della pianta, indice di un'alterata assimilazione di tali elementi. Attraverso analisi di microscopia, diverse microplastiche sono state localizzate a livello dei tricomi (peli) fogliari».
I rischi per l'uomo e gli animali
«I dati ottenuti in questo lavoro - conclude la ricercatrice fiorentina - mostrano che l'inquinamento atmosferico da microplastiche può rappresentare una minaccia diretta per le piante, sollevando così preoccupazioni in merito possibili conseguenze negative per l'intero ecosistema. Inoltre, ulteriori ricerche di questo tipo dovrebbero essere estese anche ad altre specie vegetali, come le piante orticole, al fine di valutare il trasferimento di microplastiche nella catena alimentare e il conseguente impatto sulla qualità degli alimenti e sulla salute umana».