Middle East Now Festival: "Cinema e arte creano conoscenza politica"

ll dramma del Libano raccontato dalla regista Myriam El Hajj alla Compagnia

Middle East Now Festival: "Cinema e arte creano  conoscenza politica"

L’attivista e poetessa Joumana Haddad del docu ’Diaries from Lebanon’

"Il ruolo degli artisti oggi è quello di sfidare le narrazioni dominanti: cinema e arte portano storie al mondo, creano coscienza politica. Con un festival, per esempio, si possono creare ponti tra le persone dove i politici cercano di erigere muri". È il pensiero della regista Myriam El Hajj che oggi arriva a Firenze per la prima volta per presentare il documentario ’Diaries from Lebanon’, proiezione di apertura della 15esima edizione del ’Middle East Now’ al Cinema La compagnia (ore 21 performance di Hamed Sinno, voce della famosa band libanese Mashrou Leila, in prima linea nel dibattito pubblico su libertà di parola e libertà sessuale in Medio Oriente, a seguire il film.

Il docu racconta quattro anni di una nazione in subbuglio, il Libano, attraverso le ricerche personali di significato e di sopravvivenza dei tre protagonisti, Georges, Joumana e Perla.

Come è nata l’idea del documentario?

"Nel 2018 ho sentito arrivare il vento del cambiamento, un cambiamento positivo. Era importante per me essere lì al momento giusto, per filmare il cambiamento. Le cose sono andate un po’ diversamente dal previsto ma il nocciolo del film è rimasto lo stesso: sogniamo una vita migliore, un paese migliore e continueremo a lottare per i nostri sogni".

Come è adesso la situazione in Libano?

"Mentiremmo se dicessimo che stiamo bene. Non stiamo bene. Questo non va bene. Il paese sta vivendo un enorme massacro. Non è nemmeno una guerra. Una guerra ha bisogno di due parti, due forze, mentre qui c’è solo Israele che combatte il Libano. Dicono che stanno combattendo contro Hezbollah, ma non è vero. Sabato sera per esempio, Israele ha bombardato Nabatiyeh nel sud del Libano, distruggendo un souk vecchio di cento anni. Cosa c’entra questo con Hezbollah? Stanno distruggendo una cultura, uccidendo una nazione".

Dal 7 ottobre 2023 come è cambiata la sua vita?

"Siamo stati ingannati dal mondo. Sentirsi spiegare più e più volte chi è l’oppressore e chi è l’oppresso ci ha prosciugato. È insopportabile vedere come il mondo nel ventunesimo secolo accetti ancora la colonizzazione. Ora che l’intero Paese è sotto le bombe, la vita si è fermata e siamo in modalità di sopravvivenza".

Come nasce il suo cinema impegnato?

"Sono figlia della guerra civile libanese. Avevo 7 anni quando la guerra è finita. I miei genitori e la mia famiglia hanno preso parte a questa guerra. Il mio primo film, ’A time to Rest del 2015, parla proprio di questo passato. Avevo bisogno di capire perché i miei zii, veterani della guerra civile, vi si erano impegnati all’inizio. Oggi ho 41 anni e ho già attraversato una guerra civile, un’occupazione siriana, un’invasione israeliana, una guerra israeliana nel 2006 e questa, nel 2024. Questa violenza non può che renderci impegnati. I miei film mettono in discussione la violenza e mettono in discussione le nostre realtà".

Barbara Berti