FRANCESCO INGARDIA
Cronaca

Moby Prince, ferita che non guarisce: "La terza nave è la pista da battere"

Livorno ricorda la strage. Il presidente della nuova commissione parlamentare, Pittalis: "Non ripartiamo da zero"

Moby Prince, ferita che non guarisce: "La terza nave è la pista da battere"

Sono passate da poco le 17. Il corteo è quasi giunto a destinazione. Parte da Palazzo Civico, si sposta in Piazza della Repubblica per imboccare via Grande, in direzione porto. A pochi metri dai 4 Mori viene fissato a terra un lenzuolo bianco lungo 33 metri, simbolo di una "verità calpestata". Il punto d’approdo è lo specchio d’acqua dell’Andana degli Anelli.

C’è il rituale delle 33 rose lanciate in mare da rispettare. Così come la lettura uno ad uno dei nomi e cognomi delle vittime. In quel momento, il cielo d’improvviso si copre, si rabbuia. E comincia a piovere. Ma a scendere non sono gocce. A bagnare la fronte di chi sfila ancora una volta al grido di "verità e giustizia" sono lacrime di dolore.

Perché il 10 aprile non è un giorno qualsiasi per Livorno. Facciamo per l’Italia. Una data spartiacque: la strage del Moby Prince ha segnato per intere generazioni una ferita che da 33 anni manca di sutura. Per i familiari delle vittime, c’è un prima e un dopo, fintanto che il mistero rimane avvolto nella nebbia circa le cause di quella che lo stesso presidente della Repubblica Mattarella definì in occasione del trentennale "il disastro più grave nella storia della nostra navigazione civile".

Perché il traghetto della flotta Navarma entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo? Questa la domanda delle domande rimasta dal ‘91 a oggi inevasa. Ma le associazioni dei familiari delle 140 vittime non hanno mai smesso di pretendere una risposta.

"Stiamo uniti, non separiamoci, lavoriamo assieme. Non so se avremo mai giustizia, ma pretendiamo almeno la verità storica", l’appello del presidente Nicola Rosetti rivolto alle istituzioni. "Più personale che istituzionale", l’intervento del sindaco Salvetti, che da giovane cronista raccontò in presa diretta gli attimi successivi dell’impatto delle navi nella rada di Livorno: "Lasciatemi dire con franchezza che dopo 33 anni manca la fiducia nel lavoro di chi è stato chiamato ad appurare le cause della strage".

"Al contempo – ha aggiunto– c’è la certezza di quanto fatto dalle due commissioni parlamentari d’inchiesta. Piuttosto inconcludente la prima, indubbiamente proficua la seconda. Adesso c’è la terza, che gode di punti base da cui ripartire".

Vero, perché la seconda commissione presieduta dall’ex onorevole Andrea Romano ipotizzò per la prima volta uno scenario inedito, prima della sua destituzione a causa della prematura chiusura della legislatura con le dimissioni del governo Draghi: la presenza di una terza nave in rada. Pochi giorni fa si è insediata la terza di commissione, guidata adesso dal forzista Pietro Pittalis, a sua volta vice di Romano.

"E’ proprio la terza nave la pista da battere - dichiara l’onorevole -. Non ripartiamo da zero, ma dalle risultanze delle prime due commissioni. Lo sforzo è su cosa c’è da fare, non su cosa è già stato fatto. E’ nostro dovere, per questa legislatura, porre la parola fine su questa tragedia". Ci crede davvero a questo scenario? "Lo ritengo verosimile. E aggiungo: lasciamoci alle spalle depistaggi o ipotesi come quella della negligenza del comandante o della presenza di una fitta nebbia in porto. La questione dei tracciati radar è quella che affronteremo nell’immediato. Per questo reitereremo la richiesta tramite il governo italiano agli Stati Uniti e alla Russia. Il nostro lavoro sarà improntato a colmare un vuoto assordante di verità e giustizia, risalendo alle reali cause del disastro senza nascondere niente. Faremo tutto ciò che è possibile presso le autorità straniere e italiane (come Eni) che debbono collaborare".