STEFANO BROGIONI
Cronaca

Molotov al Consolato Usa. Arrestato un 22enne: in casa aveva ancora la tuta indossata nel video

Dani Moh’d Hakam Taleb è nato in Italia da madre palestinese e padre giordano. Nello smartphone trovate tracce del filmato inviato per la rivendicazione. I pm: "Ha fatto tutto da solo". Non era schedato né conosciuto nei centri islamici.

Molotov al Consolato Usa. Arrestato un 22enne: in casa aveva ancora la tuta indossata nel video

Molotov al Consolato Usa. Arrestato un 22enne: in casa aveva ancora la tuta indossata nel video

Avrebbe fatto tutto lui: il sopralluogo e il montaggio del video, il lancio delle molotov e la diffusione della rivendicazione. Forse troppo ad appena 22 anni, giovanissimo radicalizzatosi navigando nei canali di sangue e morte di Telegram, tanta esperienza nell’informatica ma poca nell’esercizio del terrore. In una manciata di ore, carabinieri e polizia, coordinati dalla Dda, erano già a casa di Dani Moh’d Hakam Taleb, ritenuto l’autore dell’attacco con due bottiglie incendiarie avvenuto nella notte del 1 febbraio alla sede del consolato americano di Firenze, e di una successiva rivendicazione in cui, in mimetica, sciommiottava le milizie di Hamas e annunciava azioni contro Israele, l’Italia e l’America "sionista", in difesa del popolo palestinese.

Dalle prime ore di ieri è in stato di fermo, nel carcere di Sollicciano, con un fardello di accuse pesantissime: dall’attentato con finalità di terrorismo, alla detenzione di armi da guerra. "Plurimi e convergenti elementi investigativi", dice il procuratore capo Filippo Spiezia, spinto ad emettere il fermo, firmato dai pm Luca Tescaroli e Lorenzo Gestri, anche dal "concreto pericolo di fuga per la ritenuta possibiltà di procurarsi collegamenti con l’estero e luoghi di immediato riparo".

Nella perquisizione del suo appartamento a Dicomano, piccolo centro tra il Mugello e la Val di Sieve, Ros e Digos hanno trovato la tuta usata per il video diffuso all’indomani dell’attacco alla sede diplomatica Usa, e nel suo smartphone (adesso sequestrato assieme ad altri pc) tracce del montaggio della rivendicazione. È stata proprio quella a tradirlo: dopo aver creato un account di posta “schermato“, ha inviato il messaggio ai media utilizzando un’utenza “voip“ che ha immediatamente condotto a lui. Un altro concreto indizio arriva dall’analisi delle celle telefoniche: il suo smartphone ha agganciato il segnale nella zona del Consolato Usa mentre l’edificio, alle 3.30, veniva bersagliato dalle due molotov che, fortunatamente, non hanno provocato dannì, né feriti. Ma allarme sì.

Un "cane sciolto", un "lupo solitario": così lo definiscono gli investigatori che per due giorni e due notti gli hanno dato la caccia, seguendo le tracce che lui, aspirante terrorista, aveva disseminato prima e dopo l’attacco. Era stato ripreso, con il suo giubbotto nero, dalle telecamere intorno al Consolato. Era tornato sul “luogo del delitto“ per effettuare un’altra ripresa ed è stato nuovamente inquadrato. Non è riuscito a coprire la sua attività in rete, dove aveva anche creato il canale “The whole world is Hamas“, la sigla che aveva coniato. Tante, troppe ingenuità che fanno pensare agli investigatori, che Hakam Taleb non sia in contatto con la vera rete del terrore.

Il 22enne, nato in Italia da padre giordano e madre palestinese, un’attività nel campo dell’informatica a due passi dal palazzo di giustizia, non era noto agli archivi dell’antiterrorismo. Non lo conoscono nei centri islamici, non lo hanno mai visto nei cortei a sostegno della causa palestinese.

Eppure, sotto la cenere del web aveva covato un fuoco che fa tenere alta l’attenzione: sarà pure un isolato, ma la sua azione non viene sottovalutata. All’atto del fermo, il 22enne è rimasto in silenzio. "È molto scosso, ma è in attesa dell’udienza di convalida del fermo prevista nei prossimi giorni", dichiara l’avvocato Chiara Bandini. "È un ragazzo intelligente ed educato e ha una famiglia che non intende abbandonarlo in questo momento", aggiunge. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella si è complimentato con gli inquirenti. Quello di Dicomano, Stefano Passiatore, è rimasto a bocca aperta. "Siamo dispiaciuti e sorpresi. Mai si sono verificati episodi che facessero immaginare la presenza a Dicomano di persone in grado di compiere tali gesti. Non conosco il ragazzo, ma le accuse ipotizzate dalla Procura sono pesanti e gli indizi appaiono importanti. La giustizia deve fare il suo corso, avremo modo di capire come si sia potuti arrivare a tanto".