Francesco
Gurrieri
Fra le indolenti dimenticanze delle ultime amministrazioni comunali c’è l’abbandono di via delle Bagnese. Un’arteria che non è solo di importanza capitale per la mobilità sud della città e il collegamento fra il Galluzzo e Scandicci (e l’Ospedale di Torregalli), ma è anche un itinerario storico, in fregio alla Greve e sottostante le Campora e Marignolle. Di notte è pericolosissima, anche perché nella tratta fiorentina è senza illuminazione pubblica. Non sono poche ancor oggi le strade comunali, in questo terzo decennio del XXI secolo, a non essere illuminate, dunque pedonalmente pericolose. Ma forse, proprio per la consolidata presenza di “Bibe”, negli amministratori questa strada dev’esser considerata un “itinerario romantico” e tanto vale lasciarla al buio. Quante e quante le cene da Bibe fin dagli anni gloriosi (per la letteratura e la cultura fiorentina) delle Giubbe Rosse. “Andar da Bibe, fuori porta“ è stato (e in parte lo è ancora) un imperativo per artisti e intellettuali di almeno tre generazioni che si sono succedute. Montale, Luzi, Bonsanti, Parronchi, Levi, Gadda, seduti ai tavoli di Bibe ne hanno goduto la cucina toscanissima. E poi Rosai, gli astrattisti con a capo Nativi. E non da meno gli architetti, da Romoli a Gamberini, da Savioli a Carlo Cresti e oggi Sandro Gioli e Paolo Felli. Ma delle tante testimonianze, restano indelebili i versi che Eugenio Montale scrisse nel ’37 (pubblicati poi ne “Le Occasioni” nel ’39), poco prima di essere esonerato dalla guida del Vieusseux (non aveva preso la tessera del Fascio): “Bibe, ospite lieve La buona tua reginetta di Saba Mesce sorrisi e Rufina di quattordici gradi Si vede in basso rilucere la terra Fra gli aceri radi E un bimbo curva la canna Sul gomito della Greve“. Altri tempi. E non è un caso che Montale sia sepolto nel cimiterino di San Felice a Ema.