PIETRO MECAROZZI
Cronaca

Volti e storie: l'ex parà e lo scalatore di montagna. Calenzano, quei sogni spezzati delle vittime

Dalla passione per la Juventus alla dedizione per il lavoro: il ritratto delle cinque vittime della sciagura. La disperazione dei famigliari: “Inaccettabile morire in questo modo, ora vogliamo solo giustizia”

Firenze, 11 dicembre 2024 – All’angolo dell’ingresso dello stabilimento Eni di Calenzano, c’è un fratello che vuole uscire da questo strazio. Che non è dato soltanto dalla morte, ma anche dal non poter neppure riavere il corpo del defunto. Invoca un feretro. Pretende di posare una mano su quel legno che custodisce carne della sua carne. In questa parte di Toscana, a pochi chilometri da Firenze, l’inverno è già arrivato. Un vento freddo dal nord ha portato la notizia che tutti immaginavano, ma nessuno osava pronunciare: sono in tutto cinque le vittime provocate dall’esplosione di lunedì mattina, deflagrata nel deposito di via Erbosa. Più due feriti gravi, che combattono tra la vita e la morte.

Ieri i vigili del fuoco hanno ritrovato i corpi degli ultimi tre dispersi, che si vanno ad aggiungere ai due morti accertati qualche ore dopo il disastro. Sono tre autisti e due manutentori: Vincenzo Martinelli, 51 anni, Davide Baronti, 49 anni, Carmelo Corso, 57 anni erano appena scesi dai loro camion quando la palla di fuoco li ha travolti, carbonizzandoli; Gerardo Pepe, 45 anni, e Franco Cirelli, 50 anni, lavoravano per un ditta esterna a Eni e si trovavano nelle corsie della pensilina da dove tutto è partito.

Martinelli era originario di Napoli e residente a Prato dal 1998. In Toscana aveva trovato una seconda casa: divorziato con due figlie — una di 17 anni e l’altra di 19 anni —, era appassionato di cani e di caccia, e sui social non nascondeva il suo amore viscerale per Napoli. Per lui, la procura di Prato ha disposto l’autopsia. “Era una brava persona, dedito alle figlie e al lavoro”, lo ricorda il fratello.

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Qualche corsia più in là dell’area rifornimenti, si trovavano invece Baronti e Corso. I loro corpi, secondo quanto emerge, sono stati divorati dalle fiamme e smembrati dall’onda d’urto. E ora, dalle stanze del palazzo comunale di Calenzano dove è stata ospitata, la famiglia di Corso maledice quel deposito. E quel lavoro. Che l’uomo, originario di Catania e residente nel pratese, “aveva ripreso da poco”, dopo aver fatto la guardia giurata proprio a Eni. Autista della Rat — Raggruppamento Autotrasportatori Toscani — era stimato dai suoi colleghi che nella sede di Calenzano lo ricordano come “un grandissimo lavoratore e un uomo molto esperto”.

Ha scelto di fare lo stesso mestiere un po’ per passione un po’ per sopravvivenza anche Baronti. Nato a Novara, è praticamente vissuto da sempre a Livorno, prima di trasferirsi con la famiglia a Bientina (Pisa). Autista della Mavet, è entrato nel deposito Eni alle 10,14. Padre di due bambini e sposato, aveva come passione la montagna e il tennis. E lunedì, quando era ancora tra i dispersi, la moglie lo ha cercato in tutti gli ospedali, raccontando che aveva due tatuaggi con il nome dei figli. Tatuaggi spazzati via dalla ferocia della cosiddetta fireball, che lo ha travolto mentre era alle prese con le procedure di rifornimento delle vasche.

Ci sono poi Cirelli e Pepe. Trasfertisti, arrivati da molto lontano per conto della società ‘Sergen’, una ditta con sede a Grumento Nova (Potenza) che opera nel settore della manutenzione degli impianti petroliferi. Il primo aveva fatto parte della Brigata paracadutisti “Folgore, hanno raccontato ieri gli amici di Cirigliano (Matera), piccolo paese con circa 300 abitanti dove il 50enne viveva con la compagna e due figli piccoli. Nel paese della collina materana, distrutti dal dolore, i conoscenti della vittima hanno anche spiegato che la sua passione era il calcio ed era un grande tifoso della Juventus.

L’ultima vittima è Gerardo Pepe di Sasso di Castalda, sempre in Basilicata. Era nato in Germania, dove i suoi genitori erano emigrati per lavorare. “Lui - dicono i suoi compaesani - era un lavoratore instancabile, un bravo padre di famiglia, adorava sua figlia, di dodici anni, ed era sempre disponibile con tutti”. Tra gli amici e i parenti si respira disperazione per “una inaccettabile morte sul lavoro”, che adesso “chiede giustizia”. Nella stessa ditta lavora anche Luigi Murno, di 37 anni, di Villa d’Agri di Marsicovetere (Potenza), rimasto gravemente ustionato e attualmente ricoverato a Pisa. A lui, vanno le preghiere di una città, di una Regione, di un Paese.