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Morto Giampiero Vigilanti. Da legionario a quasi mostro. E’ stato l’ultimo indagato
Giampiero Vigilanti è morto ieri all’ospedale di Prato. Aveva 93 anni, compiuti lo scorso novembre. Più forte del legionario che ha combattuto in Indocina e che dagli anni ‘80 in poi è stato ripetutamente accostato ai delitti del mostro di Firenze, fino a essere indagato e infine archiviato nel 2020, è stato il tempo. Inesorabile. Vigilanti, indubbiamente un personaggio, nel bene e nel male, del quartiere del “Cantiere”, adagiato lungo il Bisenzio, ha passato gli ultimi anni della sua vita in una rsa di Prato, da quando un altro problema giudiziario si era abbattuto su di lui: la denuncia per maltrattamenti da parte della moglie, da cui ha avuto due figli, aveva imposto, su suggerimento dell’autorità giudiziaria, una separazione della coppia.
Con la morte di Vigilanti, l’ultimo sospettato dell’inchiesta infinita, si chiude definitivamente un capitolo giudiziario sugli otto duplici omicidi delle coppiette avvenuti nelle campagne intorno a Firenze fra il 1968 e il 1985. E forse con lui viene seppellita anche la residua speranza di aggiungere qualcosa a una storia giudiziaria ancora aperta e ancora fitta di misteri.
Il legionario era nato a Vicchio (dove adesso sarà sepolto), come Pietro Pacciani, nella minuscola frazione di Caselle. Era vissuto nelle baracche di un Mugello funestato dal terremoto, aveva avuto un’adolescenza irrequieta, oltre che segnata dalla miseria e dal secondo conflitto mondiale. A vent’anni, tentò varie volte di varcare il confine con la Francia, già con l’idea di arruolarsi nella Legione Straniera. E nel 1953 raggiunse davvero Marsiglia. Dove diventò soldato dietro compenso. Dopo un passaggio in Algeria, venne spedito a fare la guerra in Vietnam: al suo ritorno, la cronaca di Prato della Nazione ospitò il suo racconto della battaglia di Dien Bien Phu. Correva l’anno 1964. Perché nel frattempo Giampiero, smessa la divisa della Legione, si era trasferito nella città laniera. Prima a Vaiano – dove potrebbe aver incrociato i “sardi”, altri protagonisti della storia delle inchieste sul mostro – e poi in via Anile.
Nel 1985, all’indomani dell’omicidio dei due francesi a Scopeti, il maresciallo dei carabinieri Antonio Amore (recentemente scomparso pure lui), insospettito dalla sua Lancia Flavia rossa, tanto simile all’auto sportiva avvistata in occasione del delitto di Calenzano, avvenuto nell’ottobre del 1981, e dalla mai celata passione per le armi del legionario (possedeva una High Standard calibro 22) e delle scorribande notturne, spesso in compagnia del suo cane, decise di perquisirlo.
Spuntarono, oltre a cimeli della Legione e busti di Mussolini, tanti ritagli che parlavano del mostro (a cominciare dal delitto del 1974), ammise strane giratine sulle piazzole e, alto e atletico, sfoggiava un phisique du role sicuramente più convincente di quello di Pacciani, che verrà indagato di lì a poco. Ma i sospetti su Vigilanti diventarono qualcosa di più concreto solo nel 2014, quando una nuova indagine, l’ultima del pubblico ministero Paolo Canessa, sostenitore dell’accusa contro il ’Vampa’ e contro i compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti, innescata da un esposto dell’avvocato Vieri Adriani, legali dei familiari delle vittime francesi, condusse i carabinieri del Ros nuovamente a casa sua. Non trovarono più niente: né una “famosa“ foto che l’ex legionario aveva mostrato fiero, con due teste mozzate in mano in guerra, e neanche le sue pistole tra cui la calibro 22 che aveva mostrato ai giornali quando, anni prima, aveva raccontato una storia incredibile, che lo aveva fatto finire perfino su Italia Uno, ospite de ‘Il Bivio’ di Enrico Ruggeri: grazie all’accostamento alla storia del mostro (in un’altra perquisizione era stato trovato in possesso di 170 proiettili Winchester serie H, uguali a quelli con cui uccideva il mostro), uno zio d’America gli aveva lasciato un’eredità milionaria. Un racconto che cozza con le difficoltà economiche in cui ha passato gli ultimi anni della sua vita.
Anche se la sua porta è stata sempre aperta, ai cronisti e alle telecamere, per dire che lui, sempre arzillo alla soglia dei novant’anni, non era il killer inafferrabile ma che, i protagonisti della storia giudiziaria infinita, li aveva bazzicati tutti: Pacciani, Vanni, Lotti, il medico perugino Francesco Narducci. Forse si è anche divertito, Giampiero, a sembrare il mostro. Mai sapremo se lo era davvero.