Firenze, 28 settembre 2024 – Una scatola con i resti di Francesco Vinci è ora alla medicina legale di Careggi. Il genetista Ugo Ricci, luminare della materia che ha esaminato altri reperti dell’infinito caso del mostro di Firenze, è stato incaricato dalla procura di dare una risposta all’ennesimo intrigo: apparteneva davvero a Vinci, presunto serial killer delle coppiette all’inizio degli anni ’80 (poi scagionato da un successivo duplice omicidio avvenuto mentre si trovava in carcere), quel corpo carbonizzato dentro la sua Volvo nei boschi di Chianni, assieme al ’servo pastore’ Angelo Vargiu, nell’agosto del 1993?
Per rispondere a questo quesito, ieri mattina al cimitero dell’Ambrogiana, a Montelupo, sotto gli occhi dei magistrati Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, le spoglie di Vinci sono state esumate e consegnate al medico legale.
All’accertamento parteciperà, con due propri consulenti, anche la famiglia Vinci, che ha preteso questo approfondimento a 31 anni di distanza dal decesso, tramite il detective Davide Cannella, perché la moglie di Francesco, Vitalia Melis, cova un dubbio: che il marito non sia morto in quel rogo. Un giorno, le parve di averlo davanti.
Suggestione? Può essere, ma di motivi per dubitare, in questa storia, ce ne sono sempre. Nell’estate dell’omicidio Vinci – un delitto ancora irrisolto – il Dna non era ancora così presente nelle investigazioni.
Così, il riconoscimento della salma devastata dalle fiamme (che non avrebbero però cancellato i segni delle torture subite prima dell’esecuzione), avvenne tramite la fede e l’orologio. Poi, la famiglia Vinci, originaria di Villacidro – protagonista di quella che ancora oggi si chiama ’pista sarda’, l’ipotesi che lega il mostro al primo delitto della serie, quello avvenuto a Signa nel 1968 in cui vennero uccisi Barbara Locci, moglie del manovale Stefano Mele e il suo amante Antonio Lo Bianco –, ha una certa inclinazione a dileguarsi nel nulla.
Pure il fratello Salvatore, altro sospettato di essere il serial killer ma prosciolto da una sentenza del giudice istruttore Mario Rotella nel 1989, ancora oggi non è chiaro che fine abbia fatto. Per Cannella, uno da sempre convinto dell’innocenza di Pietro Pacciani, vive lontano dai riflettori in un paese sperduto della Spagna con il suo fardello di segreti.
Segreti che la procura sta cercando ulteriormente di dipanare con un accertamento il cui esito non è ancora noto: e cioè se Natalino, il bambino che dormiva sul sedile posteriore mentre l’assassino gli ammazzava la mamma e lo “zio“, sia davvero figlio di Mele, l’unico condannato per quel delitto d’onore, o magari proprio di uno dei Vinci, pure loro amanti della Locci.
Per sapere se le spoglie prelevate dal cimitero di Montelupo siano davvero quelle del mancato mostro Francesco, bisognerà attendere 90 giorni. Il Dna che sarà ricavato, se ricavabile, dai resti, verrà comparato con quello del figlio.
Ma Cannella è convinto che con il Dna di Francesco - se quello nella bara fosse lui - si potrebbe allargare anche il fronte dell’inchiesta mostro. Ad esempio comparandolo con altri Dna già acquisiti o da acquisire.
Vinci venne arrestato nel 1982, dopo che il mostro aveva ucciso a Baccaiano. Durante la sua detenzione, la calibro 22 (mai ritrovata) sparò ancora proiettili Winchester serie H per uccidere i due tedeschi a Giogoli, nel 1983. All’epoca, quando nessuno pensava a un unico killer, bastò per depennarlo. Ma oggi, di certezze ce ne sono sempre meno. Tanto che, a distanza di quasi 40 anni dall’ultimo delitto, i legali del nipote di Mario Vanni, il compagno di merende condannato all’ergastolo, stanno preparando una richiesta di revisione.