Firenze, 29 settembre 2024 – I fratelli del mistero: Francesco Vinci, classe 1943, e Salvatore, il maggiore nato otto anni prima a Villacidro. Il primo è ufficialmente morto nel 1993, carbonizzato nei boschi di Chianni dentro alla sua Volvo assieme al servo pastore Angelo Vargiu. La fine di Salvatore, che il primo dicembre dell’anno prossimo compirebbe novant’anni, è invece un giallo dentro al giallo del mostro di Firenze. Prima Francesco, poi Salvatore, sono stati entrambi presunti serial killer. Definitivamente archiviati nel 1989 dalla sentenza del giudice Mario Rotella, ma mai dimenticati, né dagli inquirenti - in particolar modo dai carabinieri -, né da chi ancora oggi non si ferma al traguardo delle sentenze sui compagni di merende.
Il primo dei Vinci a finire nel mirino della magistratura fu Francesco: era l’estate del 1982, quella della nascita della “pista sarda” ovvero l’ipotesi investigativa figlia del collegamento, avvenuto proprio dopo il duplice omicidio di Baccaiano, con il delitto del 1968 a Signa. Filo conduttore: la pistola e i proiettili, la calibro 22 e le cartucce Winchester con la lettera H. Francesco era anche l’amante di Barbara Locci, uccisa quattordici anni prima assieme ad Antonio Lo Bianco, altro amante dell’“ape regina”. Ripartendo delle indagini che portarono alla condanna del marito tradito Stefano Mele, in concorso con ignoti, Vinci venne sospettato di possedere la pistola e dunque di aver trucidato in seguito altre coppie. Ma il successivo delitto del mostro, a Giogoli, avvenuto mentre il sardo era rinchiuso alle Murate, buttò tutto all’aria. I carabinieri allora si concentrarono sul fratello Salvatore, pure lui legato alla Locci. Perquisizioni e pedinamenti, consegnarono dubbi sulla sua figura ma alcuna certezza, tanto che nel 1989 la “pista sarda” tramontò, almeno in procura. La Sam, guidata dal poliziotto Ruggero Perugini, puntò dritta su Pietro Pacciani.
Ma l’alone di “mostri”, sui Vinci, continua ad allungarsi. La strana “fuga” di Salvatore, svanito nel nulla dopo che venne assolto in un altro processo per omicidio (quello della prima moglie Barbarina Steri, in Sardegna: il sospetto fu che non si fosse suicidata aprendo la bombola del gas), ancora oggi non è chiaro se sia vivo o morto. Il detective Davide Cannella, che è anche il promotore della riesumazione dei resti di Francesco, ha girato mezzo mondo per scoprire dove si nascondesse ed è giunto alla conclusione che Salvatore si sia rifatto una vita in Spagna, lontano dai riflettori e soprattutto da interrogatori e domande scomode sul mostro.
Certo, i decenni che son passati hanno alimentato fantasie o implementato le conoscenze, a 360 gradi, sulla vicenda. E c’è anche voglia di non lasciare nulla d’intentato laddove ci sia spazio per un approfondimento. In questo senso, si può leggere l’accertamento avallato dalle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti sulle spoglie del più giovane dei due Vinci.
Una comparazione del suo dna, se sarà possibile estrarlo dalle spoglie mangiate dal fuoco, dipanerà i dubbi oppure li alimenterà: è di Francesco quel corpo dato alle fiamme dopo violenze e sevizie? Interrogativo che trae origine da un’intima convinzione della moglie di Vinci, Vitalia Melis, convinta di esserselo ritrovato di fronte dopo il funerale. D’altronde, la storia del mostro, o delle vicende collaterali che hanno accompagnato il caso giudiziario più ingarbugliato della cronaca italiana, ha consegnato pure uno scambio di cadavere: quello del medico perugino Francesco Narducci. Nel lago Trasimeno, nell’ottobre del 1985, venne inscenato il suo recupero, ma il corpo, hanno rivelato indagini postume della procura, non era quello del gastroenterologo, ma di una comparsa prima chissà dove. Forse, come raccontò uno scoop de La Nazione, per la messinscena venne prelevato un corpo dall’obitorio, quello di un messicano. Della vicenda Narducci e pure sulle modalità dell’origine della “pista sarda” si è occupata perfino una commissione parlamentare d’inchiesta.
Perché su come, nei giorni che seguirono l’assassinio dei fidanzati di Montespertoli Antonella Migliorini e Paolo Mainardi, si sia rispolverato il delitto “sardo”, permane un buco. Troppe versioni e coincidenze (il ricordo del maresciallo Fiori in contrasto con la segnalazione anonima a cui fa cenno il giudice istruttore Tricomi in un atto, le lettere di un detenuto che facevano riferimento a un tentato omicidio di una coppia avvenuto al Galluzzo, il ritrovamento dei bossoli spillati al fascicolo) lasciano spazio a ogni interpretazione. Compreso quella che, nel 1982, si sia consumato un depistaggio.