Firenze, 2 marzo 2020 - Michele Giuttari, lei è l'investigatore che con le sue indagini ha portato alla condanna dei compagni di merende. Poi è stato uno scrittore di successo. Successivamente anche avvocato. E adesso?
"E adesso è iniziata la mia quarta vita. Da sceneggiatore. La ''Indiana Production'' ha in progetto dei film con i miei thriller. Il regista Brando De Sica (figlio di Christian, ndr) racconterà la storia del mostro diversamente da come è stata finora narrata. Sarà originale, come il mio prossimo libro a cui si ispira che ho appena ultimato di scrivere"
Il titolo?
"Non posso dirlo. Anticipo solo che non compare la parola mostro".
Ha però detto che sarà la ''storia definitiva”.
"E' un libro che conterrà la verità storica, perché in questa storia la verità giudiziaria non si potrà più ottenere. Andava cercata allora, quando si indagava sui mandanti, ma come si sa non mi è stato consentito. Indagassi oggi? Sarei fuori tempo. L'indagine bisognava svilupparla nel 2004, quando c'erano i nomi di alcuni del livello superiore che ancora erano in vita. Io sono stato visto come l'investigatore che non doveva più indagare, sono stato messo da parte. Non lo dico io, ma i fatti che sono accaduti che ho regolarmente denunciato alla procura senza poi sapere più nulla. Si è fatto di tutto per mettermi di lato perché potesse tornare la tranquillità a Firenze. E infatti l'indagine di Perugia non l'ha continuata nessuno. Il processo ai mandanti si è chiuso con un'assoluzione dubbiosa, che non è stata impugnata nonostante la richiesta di ergastolo. Il ricorso della procura era quanto meno opportuno, anche nell'interesse dell'imputato (il farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, ndr). L'indagine è stata poi riaperta nel 2013, ma per la solerzia di un avvocato per delle vittime che vogliono la verità e che lo Stato gli deve dare. Quando iniziai ad indagare sul livello superiore sono arrivati i miei trasferimenti. Avevo contribuito alla soluzione anche se parziale di questa vicenda, e venivo punito. Mi sono poi rifugiato nella passione dello scrittore. Quel capo della polizia sembra assurdo ma dovrei ringraziarlo per la nuova vita".
Si ricorda di Giampiero Vigilanti?
"Anche vivendo all'estero leggo sempre La Nazione: era il primo giornale che aprivo quando ero capo della Mobile ed ho mantenuto questa abitudine. Proprio in questi giorni si richiamava in un articolo il mio nome: riferii alla procura ciò che risultava tra gli atti nostri. Non era un soggetto che in quel momento investigativo rientrava nei nostri piani: stavamo indagando sul mandante, che certamente non era uno al livello di Vigilant".
Il criminologo Bruno disse di aver ricevuto una lettera con una segnalazione di un sospetto che andava a correre con la sua macchina al Mugello. Se la ricorda?
"Non abbiamo avuto deleghe. E comunque quando perquisimmo Bruno cercavamo altro, cioé gli studi che aveva fatto nel 1984 e nel 1985 per il Sisde".
Ventidue anni fa moriva Pietro Pacciani.
"Una morte strana, non ha le caratteristiche di una morte naturale. Era in una posizione insolita, aveva macchie che non dovevano esistere, come se il cadavere fosse stato spostato. Le luci erano spente. Tutte le finestre e la porta della casa erano spalancate quando invece lui all'imbrunire si serrava dentro perché temeva di essere ucciso, lo diceva anche in un biglietto che ritrovammo. Poi c'era quel farmaco, l'Eolus, controindicato, che non si è capito chi glielo abbia segnato. Ma c'è un altro particolare che mi aveva incuriosito".
Quale?
"Aveva come uno straccio alla vita, per tutta la circonferenza, sotto i pantaloni, che erano un po' abbassati, imbevuto di varichina. Che funzione poteva avere?"
Avrebbe potuto dire qualcosa, Pacciani?
"Lo avrei voluto interrogare. Non voleva pagare per tutti. Bisogna riconsiderare alcune cose vecchie che sembravano irrilevanti. In un memoriale che spedì all'Ansa, alla vigilia del processo d'appello, scrisse che i mostri erano ''diversi'. E Lotti quando parla al telefono con don Fabrizio Poli, diceva 'però non ci sono solo io, ce ne son tanti'. Pacciani dice 'diversi', Lotti 'tanti' ".
I racconti di Lotti sono però spesso messi in discussione.
"Non condivido quando qualcuno accusa Lotti di dire bugie: Lotti è morto, ma bisogna dargli atto che ha raccontato la verità come hanno stabilito i giudici. Due particolari poteva saperli solo chi c'era. Lotti riferì che a Vicchio Pacciani e Vanni lavarono il coltello nella Sieve. Quando uscì questo particolare sui giornali Renzo Rontini (padre di Pia, uccisa nel 1984, ndr) mi chiamò subito quella mattina, dicendomi: 'Dottore, Lotti sta dicendo la verità, mi venga subito a trovare'. Mi precipitai là, mi fece trovare un macellaio che mi raccontò che il giorno dopo il delitto era andato a lavare la macchina al fiume e aveva visto delle macchie di sangue e che, facendo il percorso al contrario, la macchie provenivano proprio dalla piazzola. Questo dettaglio non esisteva negli atti, non lo sapeva neanche il pubblico ministero. Era rimasto relegato nell'ambiente ristrettissimo degli investigatori. L'altro particolare inedito: il taglio della tenda degli Scopeti, dal basso verso l'alto. Non risultava da nessuna parte, ma i medici legali all'epoca lo avevano detto. A chi cerca di offuscare la persona di Lotti, dico di essere più cauto e documentarsi bene. Lotti ha detto ciò che sapeva, sapeva anche altre cose ma riguardando un ceto più alto del suo, lui non si è sentita di dirle".
Tre delitti sono però senza colpevole, per la giustizia. Chi li ha compiuti?
"La mano del 1981 era diversa. I medici legali descrissero tagli eseguiti molto professionalmente. Nel 1984 e del 1985 la manualità è diventata rozzezza. E' cambiata la mano. Ed è possibile, perché nella filosofia del serial killer solitario non si può accettare un cambio di mano, ma nei delitti di gruppo sì. Questo gruppo da quante persone era composto? Gli elementi del gruppo potevano anche intercambiarsi i ruoli a seconda di disponibilità e reperibilità. Sono elementi che devono far riflettere. Oggi è difficile, mi auguro che magistratura possa trovare la soluzione, però è passato troppo tempo, troppa gente è morta, bisognava avere anche un colpo di fortuna nelle indagini, che non c'è stato. Bisognava all'epoca intuire che non si trattava di un serial killer solitario ma di un gruppo".
C'è anche il mistero della pistola.
"Non c'è certezza che sia stata solo ed esclusivamente quell'arma, le perizie prendevano bossoli e proiettili a campione, nel 1982 non venne analizzato neanche un proiettile perché gravemente deformati. E poi, me lo faccia dire, questo discorsi dei proiettili nel fascicolo del delitto del 1968 (il cui ritrovamento farà imboccare agli inquirenti la 'pista sarda', ndr), è un altro fatto stranissimo, anomalo. I proiettili sono corpo di reato non possono essere custoditi in un fascicolo, mi viene difficile immaginare che questo fascicolo fa Firenze, Perugia, Roma, di nuovo Firenze e nessuno, compresi alti magistrati, si sia accorto che questi proiettili erano fuori posto? E' un altro mistero che a me, da investigatore, puzza di depistaggio. Non riesco a trovare una giustificazione plausibile".
Cos'è la storia del mostro?
"La storia del mostro è costellata di misteri. La morte di Pacciani ma anche altre, Milva Malatesta e Francesco Vinci, avvenute nel giro di 10 giorni mentre si stavano completando le indagini per rinviare a giudizio Pacciani. Sono morti che fanno riflettere. Milva e il figlioletto con l'auto bruciata nella scarpata. Incidente? C'era una tanica lì vicino che odorava di benzina. Arrestano il marito da cui si era separato, ma viene assolto. Francesco Vinci era stato incaprettato e bruciato nel bagagliaio. Vinci era un piccolo delinquente, quel trattamento si riserva ad altri, a qualche gola profonda, a qualche traditore. Narducci non è annegato e non si è suicidato. Frattura della cartilagine dell'osso ioide, tipico dello strozzamento. E' una vicenda ricca di misteri. Che forse solo una rappresentazione cinematografica può risolvere".